Ferrarelli Coaching https://www.ferrarelli-coaching.com/homepage-2/ Consulente, Coach e Formatore Mon, 17 Nov 2025 13:28:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 Quando ti senti “niente di speciale”: cosa significa essere davvero forti https://www.ferrarelli-coaching.com/ti-senti-mediocre-ecco-cosa-significa-davvero-essere-forti/ Wed, 19 Nov 2025 11:21:36 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43865 Foto di Brote Studio Viviamo in un tempo che celebra l’eccezione. Lo scatto improvviso. Il salto spettacolare. Il successo professionale da mostrare (e sbandierare) su LinkedIn. E voglio essere chiaro: non c’è nulla di sbagliato nel condividere i propri successi. Anzi, è sano riconoscere il proprio valore, celebrare un risultato, essere fieri di ciò che […]

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cosa significa davvero essere forti

Foto di Brote Studio

Viviamo in un tempo che celebra l’eccezione.
Lo scatto improvviso.

Il salto spettacolare.
Il successo professionale da mostrare (e sbandierare) su LinkedIn.

E voglio essere chiaro: non c’è nulla di sbagliato nel condividere i propri successi.

Anzi, è sano riconoscere il proprio valore, celebrare un risultato, essere fieri di ciò che si è costruito.

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Il punto non è questo

Senza rendercene conto, abbiamo iniziato a misurare tutto con i parametri “strani” …

se non stai creando un progetto straordinario, se non stai costruendo la tua “unicità” differenziante,

se non hai una storia di successo da raccontare … c’è qualcosa che non va.

E così la normalità diventa invisibile, quasi indegna di essere raccontata

Se non hai “niente da mostrare”, rischi di sentirti meno competente, meno rilevante, meno “forte”.

Infatti, adesso che ci penso …

Mi guardo allo specchio.
Non sono “il nome nuovo”.
Non faccio rumore.

Mi sento…. normale.
Quindi … mediocre. Niente di speciale.

Troppo normale.
A chi frega della normalità!

Cosa significa davvero essere forti?

Ma se ci fermiamo un secondo a pensarci… forse siamo diventati dipendenti dalla spettacolarizzazione. Dallo show.

Eppure, il mondo si regge sulla “normalità”.
Funziona grazie a chi fa bene le cose normali.

È sostenuto da persone che costruiscono routine, continuità, affidabilità.

Senza che diventi per forza virale.
Spettacolare.



Il fatto che non sia spettacolare non significa che non sia potente

Stiamo dando valore solo a ciò che si può raccontare.
Che è cliccabile.
Che possiamo aggiungere un like.

Eppure, la forza è nella continuità.
È nel ripetere ciò che è necessario. Ciò che deve essere fatto.

Anche quando non produce gratificazione immediata, nessuno applaude,
nessuno lo vede.

La forza è non crollare quando sarebbe più facile mollare

Lamentarsi e pretendere di essere speciali.

Cosa significa davvero essere forti …
è lavorare 8-10 ore, tornare nel traffico della tangenziale, portare avanti consegne, prendere decisioni razionali, tenere insieme i pezzi.

Fare i compiti con i figli, dare stabilità emotiva a una famiglia che vive anch’essa dentro un tempo complesso, preparare la cena, risolvere piccole emergenze, pagare bollette, organizzare la settimana, pensare alla scuola, alla salute, alla relazione.

La forza è nell’essere responsabili. Non straordinari.

E spesso arriva alla fine del mese e ti accorgi che quel mese sei riuscita a sostenere tutto: te stesso, il lavoro, la casa, la vita emotiva, gli altri.

Ma la responsabilità oggi è diventata noiosa.

E quindi non risalta. Non viene vista.


Se senti che la tua carriera è ferma mentre intorno tutto si muove — nuovi capi, nuove offerte, nuove incertezze — serve uno spazio di analisi e confronto.

Esplora i miei percorsi di coaching mirato sul tema “Carriera” per scegliere con consapevolezza e non per pressione.

Stiamo costruendo una cultura che idolatra l’eccezione

Disprezza la normalità.

Prova a chiederti:

  • E se la tua forza fosse proprio essere-quel-che-sei?
  • E se non sei tu mediocre… ma il modello di forza che ti hanno venduto ad esserlo?
  • E se la sensazione di essere “poco hype” venisse dal fatto che oggi hype è diventato sinonimo di valore… anche quando non lo è?

La forza non si vede. Si “sente”.

È silenziosa. Coerente.
È continua.

Il mondo potrà non accorgersi subito di questo tipo di forza… ma è quella che fa durare le cose nel tempo.

Questa sensazione di essere “niente di speciale” l’ho provata anch’io nella mia vita professionale.

Nel mio lavoro di coach posso cadere facilmente nell’illusione che, per sentirmi forte o autorevole, avrei dovuto essere più visibile, più rumoroso, più presente.

Spesso mi sono chiesto cosa significa davvero essere forti.



Se non stessi “valendo meno” o non “abbastanza”.

Infatti, per esempio, sono presente sui social, sì, ma li uso poco.
Pochissimo.

Mi sembra di fare rumore. Creare chiacchiericcio inutile.

Scambiare l’esposizione per competenza,
l’hype per autorevolezza, la frequenza di pubblicazione per valore.

Poi ho capito che il riflesso di una cultura non mi appartiene

Questa esposizione non è – semplicemente – cosa-mia.

Non mi ci ritrovo.

Vorrei che la mia competenza non si perda nel clamore di “guardatemi” ma piuttosto nel lavoro serio, nella coerenza quotidiana, nella cura, nella profondità delle conversazioni.

E questo, anche se non fa rumore, è forza.

Se ti sei riconosciuto in tutto questo, se ti senti “poco hype”, se pensi di essere mediocre… sappi che non lo sei.

La tua forza non fa rumore, non diventa virale.
Ma tiene insieme il mondo, il tuo lavoro, la tua famiglia, la tua vita.

Perché la vera forza è proprio quella che nessuno celebra

E come disse Antonio Salieri (compositore e direttore d’orchestra italiano – 1750-1825) con la saggezza dei mediocri che reggono l’ordinario:

“Mediocri, ovunque voi siate, io vi assolvo… io vi assolvo… io vi assolvo… tutti!”

Salieri era molto stimato a Vienna, le sue opere erano apprezzate e influenti, è diventato il simbolo del “mediocre” se confrontato con Amadeus Mozart, considerato un genio assoluto.

In questo senso, la frase “Mediocri, ovunque voi siate, io vi assolvo…” assume un valore quasi consolatorio: riconosce dignità e valore anche a chi non è un genio, ma lavora con costanza e dedizione.

Ogni giorno.

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Basta con “Se vuoi puoi”: la realtà è molto più complessa https://www.ferrarelli-coaching.com/basta-con-se-vuoi-puoi-la-realta-e-molto-piu-complessa/ Wed, 12 Nov 2025 17:10:12 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43831 Foto di Andrea Piacquadio da Pexels “Se non sei riuscito è perché non hai voluto abbastanza”. “Non ti sei realizzato? La colpa è tua!”. “Se non stai raggiungendo i risultati, vuol dire che non ci credi davvero”. Ogni volta che qualcuno in sessione di coaching mi dice “Non ce l’ho fatta, è colpa mia!”, mi rendo conto di […]

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la realtà è molto più complessa

“Se non sei riuscito è perché non hai voluto abbastanza”.
“Non ti sei realizzato? La colpa è tua!”.
“Se non stai raggiungendo i risultati, vuol dire che non ci credi davvero”.

Ogni volta che qualcuno in sessione di coaching mi dice “Non ce l’ho fatta, è colpa mia!”,
mi rendo conto di quanto queste frasi abbiano fatto danni giganteschi.

Hanno indotto sconforto. Senso di colpa.
Svalutazione.

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Se non ottieni X, allora non l’hai voluto abbastanza.

Un pensiero facile-facile che non regge. La realtà è molto più complessa.
Come se bastasse solo volerlo …

La volontà come unica variabile del successo.

La realtà è che il contesto conta. Moltissimo.
E ammetterlo non è una scusante. Una rinuncia.
È maturità.

La volontà non opera “da sola”

Il “sistema” dove ci muoviamo non è perfettamente equo, stabile, prevedibile.
Anzi.

Non partiamo dalle stesse condizioni.
Non abbiamo tutti le stesse risorse.
Gli stessi margini di rischio.

Alcune persone hanno “cuscinetti” di sicurezza che altri non hanno.

Possono permettersi di sperimentare, perdere, sbagliare, “provare e vedere come va”.
Altri non hanno margine d’errore.

Se fanno (o hanno fatto) una mossa sbagliata o hanno fallito possono pagare conseguenze pesanti, immediate.
Non risolvibile nel breve.

Se non consideri i fattori esterni, “Se vuoi puoi” diventa l’arma che punti contro te stesso.



Il contesto conta

Ci sono variabili esterne che contano tanto quanto la motivazione.

Contesto economico, accesso a opportunità, tempi, Mercato, supporto sociale, condizione mentale, capitale sociale e culturale, salute.

La propria storia personale (infanzia difficile in ambienti problematici, malattia, infortunio, incidente, la sfiga ecc., la lista può essere lunga).

Ci sono persone che, se tornano a casa “sconfitte e sconsolate” trovano una famiglia solida e protettiva che le sostengono (moralmente ed economicamente),

Altri devono sostenere la famiglia oppure diventare genitore dei propri genitori.

C’è chi vive in città dove accade-di-tutto e chi deve fare due ore solo per arrivarci.

E l’età? La lasciamo via?
Non è uguale a 20, 35 o 45 anni.

È scomodo dirlo. Ma è così.

Non è che non sei ambizioso, la realtà è molto più complessa!

Coraggioso.
Forse se non ti stai lanciando, hai solo paura di pagare un prezzo alto.

Il contesto che hai attorno cambia TUTTO:
le opportunità, il rischio e i tempi che puoi sostenere, quanto puoi sbagliare senza rovinarti (per anni).


Stai pensando di cambiare lavoro ma non sai da dove partire?

In un percorso mirato ti aiuto a fare chiarezza, valutare le opzioni e definire il prossimo passo giusto per te.

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Volontà e responsabilità contano ma non sono variabili isolate

Da sole non garantiscono esiti lineari e prevedibili.

Riconoscere che il contesto conta non è un alibi.

È lucidità.

È capire come-muoversi dentro la realtà.
Dentro le regole del gioco, non nell’illusione che il gioco non abbia regole.

Le persone che fanno carriera sono quelle che sanno leggere dove-sono, cosa posso permettersi, sanno come/dove indirizzare energia, tempo, rischio.

E sanno aspettare.

Se non contestualizzi, ti svaluti

Quanti di noi credono di non avere talento quando in realtà hanno semplicemente avuto un contesto molto sfavorevole?

Quante persone credono di non-essere-abbastanza quando in realtà stavano combattendo con variabili strutturali. Poco controllabili?

Se non tieni conto del contesto, l’unica spiegazione che ti dai è che hai fallito. Non sei riuscito.
Non sei abbastanza.

E questo può essere devastante!



Ti faccio una domanda

  • Stai valutando il tuo percorso professionale con parametri che ti appartengono …
    o con criteri che appartengono a un modello ideale astratto, che non esiste, che vedi online?

Se le tue finanze oggi non reggono 6 mesi di instabilità.

Restare nel tuo attuale lavoro (per costruire ancora margine) non è paura: è strategia.

È ambizione gestita, non pericolosa impulsività.

Il contesto non ti definisce, ma ti struttura

Non devi dimostrare che puoi fare tutto.

Devi capire cosa è possibile ora, in questa fase, dentro questo scenario.
Con le risorse che hai in questo momento.

E poi partire da lì.

Con lucidità. Realtà.
Maturità.

E dopo tutto questo …

È vero che non partiamo tutti dalla stessa linea.
Che il contesto conta, (lo ripeto) eccome se conta.

Che il cuscinetto di sicurezza cambia drasticamente la valutazione del rischio.

Ma è anche vero che …

  • Ci sono persone che sono “arrivate” nonostante le avversità e i contesti sfavorevoli.

Hanno attraversato venti contrari, imprevisti, ingiustizie, rallentamenti, perdita, porte sbattute in faccia.

Ce l’hanno fatta quando (razionalmente) sembrava impossibile riuscirci.

È importante però non usare questi casi (eccezionali) come unico metro di misura,
come prova che “tutti possono”, se vogliono.

Ma non è solo questione di “volerlo di più”.

Di “credici”.

La realtà è molto più complessa.
Imperfetta.

La forza è nella capacità di “vedere” entrambe queste due verità:

1. Non tutti partiamo uguale.
2. Alcune persone (poche) – chiamale brave, determinate, talentuose, come preferisci – riescono comunque, nonostante tutto.

Cambiare lavoro è una scelta importante — e va preparata bene.

Questo percorso di coaching ti guida a chiarire cosa vuoi davvero e come muoverti in modo realistico e strategico.

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Perché restare nel lavoro che non ti piace può avere senso https://www.ferrarelli-coaching.com/perche-restare-nel-lavoro-che-non-ti-piace-puo-avere-senso/ Wed, 05 Nov 2025 16:34:12 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43702 Foto di Joel Riquelme I social sono pieni di storie di chi ha mollato tutto per inseguire un sogno. Chi ha iniziato da zero, si è reinventato, ha lasciato un lavoro stabile per tuffarsi finalmente “nel diventare sé stesso”. E ogni volta che leggiamo, una parte di noi si sente quasi in colpa: “Non sto […]

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restare nel lavoro che non ti piaceFoto di Joel Riquelme

I social sono pieni di storie di chi ha mollato tutto per inseguire un sogno.

Chi ha iniziato da zero, si è reinventato, ha lasciato un lavoro stabile per tuffarsi finalmente “nel diventare sé stesso”.

E ogni volta che leggiamo, una parte di noi si sente quasi in colpa:
“Non sto evolvendo.
Sto buttando via la mia vita rimanendo dove sono?”

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Restare nel lavoro che non ti piace?

Da career coach, noto una cosa che quasi nessuno dice: a volte, restare è la scelta più intelligente (inteso come strategica) che puoi fare.

Non perché tu non sia capace. Competente.
Non abbia potenziale, talento, creatività. Visione.

Ma perché oggi, più che mai, il contesto è complesso.

E romanticizzare (e sottovalutare) il tuffarsi può fare male.
Molto male.

Cambiare lavoro è una scelta importante — e va preparata bene.

Questo percorso di coaching ti guida – in poche sessioni – a chiarire cosa vuoi davvero e come muoverti in modo realistico e strategico.

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Perché nessuno dice “Ma quanto è difficile!”

Perché non è figo. Non fa like.
Non diventa virale.

Il messaggio “Lanciati, ti meriti di più” è molto più spendibile di:
Fermati, pensa, valuta, osserva, capisci il sistema prima di muoverti”.

Nella mia esperienza con decine di persone che volevano cambiare lavoro, vita,
vedo una dinamica ricorrente:



Si sopravvaluta il “dopo” e si sottovaluta la fatica del “durante”

Mattia (nome inventato ma persona reale) è arrivato da me già dopo aver fatto il tuffo.

Aveva lasciato il suo lavoro per inseguire “il sogno” di un ruolo più creativo in un nuovo settore.

Nuova azienda, stipendio un filo più alto, brand “futuristico” molto cool, ambiente giovane… tutto Instagram-ready.

Per i primi due mesi sembrava andare tutto bene.

Poi è arrivata la realtà del mercato: concorrenza feroce, turnover altissimo, micro-mode che duravano settimane, nessuna crescita reale.

Soprattutto un turnover delle persone impressionante.

Nel giro di 6 mesi Mattia era fuori. Stanco e sfiduciato.

Non perché non fosse bravo.
In diversi contesti, oggi, la bravura NON è la sola metrica dominante.

Durante le sessioni di coaching Mattia mi ha detto:
“Avevo paura che restando nel mio vecchio lavoro avrei perso l’opportunità. Invece cambiando ho perso la stabilità che avevo già costruito.”

Restare (almeno un po’) non sarebbe stata mancanza di coraggio.

Sarebbe stata strategia.

Alcuni motivi per restare (almeno ancora un po’)

Premessa….
no, non devi accontentarti. Non te lo dirò mai!

Tuttavia, devi essere molto più strategico e molto meno impulsivo. Perché:

1. Emergere oggi è difficile. Estremamente.

Tutti possono pubblicare. Tutti possono aprire un business. Tutti possono posizionarsi come esperti (poi al netto pochi lo sono!)



2. La concorrenza è enorme.

E non è locale. È globale.

3. Le mode e le tendenze professionali si esauriscono in pochi mesi.

Quello che oggi ti sembra “il futuro”, domani potrebbe essere già superato.

4. Molti lavori che oggi indichiamo “dei nostri sogni” non esisteranno più fra 3 anni.

Letteralmente. È spesso appeso ad una piattaforma, una moda, un ciclo di hype.

Quando crolla la piattaforma, cambia il trend, l’algoritmo vira… anche la carriera “declina”.

Restare nel lavoro che non ti piace (almeno un altro po’) non significa rinunciare.
Significa preparare il terreno, senza bruciarti.

Restare non è passività.

Chiediti:

  • Sto scappando da qualcosa o sto andando verso qualcosa?
  • Ho davvero compreso l’impatto emotivo, pratico, economico del salto?
  • Ho una strategia o solo desiderio?
  • Questa decisione nasce dalla mia identità o dalla pressione di un trend?
  • Questa nuova carriera… tra un anno esisterà ancora?

“Nothing is impossible” è pericoloso perché distorto

Non è impossibile.
E che .. il prezzo è molto alto.
Emotivamente, mentalmente, finanziariamente.

E non sempre siamo pronti a pagare quel prezzo.

Quando vedi casi estremi — successi “istantanei” sui social, la persona che esplode perché cavalca una moda, il boom di una professione improvvisamente trendy — il tuo cervello li prende come riferimento, non come eccezioni.

Finisci per giudicare la tua vita confrontandoti con queste eccezioni; distorcendo completamente la percezione di rischio, di tempo e di probabilità reali.

Non cambiare per reagire. Cambia per costruire.

Restare ancora un po’ è fondamentale.
Per capire come funziona (davvero) il sistema.

Quali delle tue competenze valgono davvero.

Restare nel lavoro che non ti piace … per fare ancora più network.

Per capitalizzare ciò che hai già ottenuto.
Consolidare. Prima di lanciarti.

E poi, quando sarà il momento, il salto avrà fondamenta solide.
Non sarà un salto nel buio.
Sarà un passaggio progettato.

In conclusione … restare nel lavoro che non ti piace?

Non devi dimostrare nulla.
Non devi rischiare tutto per diventare un post virale.

La domanda che devi porti è:

  • sei pronto a scegliere con lucidità, anche quando la scelta giusta è restare ancora?

Restare dove sei può essere (al momento) coraggioso.

Di sicuro strategico. Adulto.

Magari non fai il botto, nessuno applaude sui social…
ma stai costruendo un futuro.
Solido. Reale.

Hai deciso di cambiare, ma non vuoi farlo alla cieca?

In poche sessioni analizziamo insieme le tue motivazioni, possibilità e strategie per scegliere con consapevolezza.

Scopri il percorso dedicato “Vuoi cambiare lavoro? Esplora, valuta, decidi”.

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Come farsi ascoltare al lavoro e ottenere risultati https://www.ferrarelli-coaching.com/come-farsi-ascoltare-al-lavoro-e-ottenere-risultati/ Wed, 29 Oct 2025 18:00:11 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43568 Hai mai avuto la sensazione di parlare al vento? Dare istruzioni, assegnare compiti, eppure il team sembra ignorarti o esegue le tue direttive con superficialità? Alla fine, ti ritrovi a dover rimediare agli errori, ripetere le stesse cose più volte. Peggio ancora, fare il lavoro al posto loro. Oppure frustrato, inizi a diventare sempre più […]

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come farsi ascoltare al lavoro

Hai mai avuto la sensazione di parlare al vento?

Dare istruzioni, assegnare compiti, eppure il team sembra ignorarti o esegue le tue direttive con superficialità?

Alla fine, ti ritrovi a dover rimediare agli errori, ripetere le stesse cose più volte. Peggio ancora, fare il lavoro al posto loro.

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Oppure frustrato, inizi a diventare sempre più diretto, autoritario, scontroso, ma il problema anziché migliorare,  peggiora.

Ma perché succede?
Sei davvero sicuro che il problema sia solo il team?

Come farsi ascoltare al lavoro?

Il problema non è (solo) loro, ma anche tuo

Quando il team ignora le tue indicazioni, il primo istinto è pensare che i collaboratori siano distratti, poco motivati o semplicemente negligenti.

Ma fermati un attimo: può darsi che, senza rendertene conto, tu stia comunicando nel modo sbagliato?

Prova a chiederti:

  • Sei sicuro di essere stato (davvero) chiaro?
  • Hai verificato che le tue indicazioni siano state comprese? Hai dato per scontato che fosse tutto chiaro?
  • Hai coinvolto il team nella definizione del compito, o hai solo imposto la tua visione?



 Chiarezza non significa solo dire cosa-fare

Vuole anche dire perché e con quale obiettivo.

Se rispondi sinceramente a queste domande, potresti accorgerti che il problema non è solo dei tuoi collaboratori,

ma anche nel tuo approccio alla comunicazione e alla leadership.

Se non spieghi l’importanza delle attività. Non chiedi mai il punto di vista dei collaboratori, nessuno si sentirà realmente coinvolto.

Nessuno si impegna davvero.

Come farsi ascoltare al lavoro: 4 strategie pratiche

1. Spiega il perché, non solo il cosa

Le persone non si impegnano se non capiscono il senso di quello che fanno.

Comunica l’importanza di ogni richiesta, mostrando l’impatto sul team e sull’azienda.

2. Verifica la comprensione

Chiedi: “Mi sono spiegato bene?” oppure “Qual è la tua interpretazione di quanto detto?” per assicurarti che il messaggio sia stato recepito nel modo giusto.

3. Coinvolgi, non imporre

Se possibile, lascia spazio ai collaboratori per esprimere opinioni e proporre alternative.

Quando ci si sente parte attiva del processo, l’impegno aumenta.

4. Dai feedback e segui i progressi

Non basta assegnare un compito e sperare che venga fatto. Monitora l’andamento, dai feedback costruttivi e mostra che tieni al risultato.

Cambiando approccio – facendo domande, verificando la comprensione e mostrando l’impatto di ogni compito – il tuo team inizierà ad ascoltarti.

Non sei più il “capo che ordina”, ma un leader che guida.



E tu, come comunichi con il tuo team?

Ora fermati un attimo e rifletti.

Ti è mai capitato di assegnare un compito e poi accorgerti che il team l’ha interpretato in modo diverso?

Se sì, forse è il momento di rivedere il tuo stile di leadership.

Vuoi approfondire il tema e migliorare la tua capacità di farti ascoltare dal team?

Scopri il mio servizio di coaching mirato “Come farsi ascoltare dai collaboratori, senza autoritarismo“.

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Gestire l’ansia da lavoro: come affrontare l’incertezza e guardare avanti https://www.ferrarelli-coaching.com/gestire-lansia-da-lavoro-come-affrontare-lincertezza/ Wed, 22 Oct 2025 15:52:04 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43304 Voci di riorganizzazioni, tagli, nuovi manager? All’improvviso, il cielo sulla testa diventa nero, quello che fino a ieri era sicuro oggi non lo è più. La paura di perdere il lavoro fa tremare la terra sotto i piedi. La mente ansiosa comincia a correre: “E se mi lasciano a casa? Come ricomincio? Dove?” Eppure, è […]

L'articolo Gestire l’ansia da lavoro: come affrontare l’incertezza e guardare avanti sembra essere il primo su Ferrarelli Coaching.

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gestire l’ansia da lavoro

Voci di riorganizzazioni, tagli, nuovi manager? All’improvviso, il cielo sulla testa diventa nero, quello che fino a ieri era sicuro oggi non lo è più.

La paura di perdere il lavoro fa tremare la terra sotto i piedi.

La mente ansiosa comincia a correre: “E se mi lasciano a casa? Come ricomincio? Dove?

Eppure, è proprio in questi momenti che serve riportare fiducia e lucidità dove c’è solo paura e logoramento.

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Riconosci la tua ansia

È naturale sentirsi ansiosi.

Non è un segno di debolezza: è una reazione umana a una minaccia percepita.

L’errore più comune, però, è fingere di non sentirla. Prova invece a osservarla:

  • Cosa ti sta davvero spaventando?
  • È la perdita di stipendio, status? Routine, identità?
  • Oppure è la sensazione di non avere controllo?

Dare un nome alla paura è già il primo passo per ridurre l’ansia per il tuo futuro professionale.

L’ansia non va zittita, va ascoltata per “capirne” il messaggio.

Niente panico!

Questo è il momento di rallentare. Separare i fatti dalle interpretazioni.

Chiediti:

  • Ci sono segnali concreti che il mio ruolo è davvero a rischio? O sto reagendo solo a chiacchiericcio?
  • Se la mia posizione cambiasse, quali competenze mi renderebbero comunque “spendibile”?
  • Ho contatti, reti, persone che potrei riattivare, se il caso?

L’incertezza alimenta l’ansia, ma la chiarezza — anche se spiacevole — la riduce.

A volte scopri che la situazione non è poi così grave come sembra.

Altre volte capisci che sì, potrebbe cambiare… ma che non sei “disarmato” come credevi.



Piccoli passi, grande impatto

Il cervello ansioso, dicevo in apertura, comincia a correre, alla ricerca di soluzioni: “Devo subito trovare un nuovo lavoro!”.

La stabilità si ricostruisce con l’azione. Una alla volta. Anche piccola.

  • Aggiorna il tuo CV e il profilo LinkedIn, anche solo per sentirti pronto. Reattivo.
  • Analizza le tue competenze trasferibili — cosa-sai-fare, al di là del tuo ruolo attuale.
  • Inizia a parlare con persone di fiducia: colleghi, ex capi, mentore.
  • Dedicati alla formazione, anche minima: un breve corso può riaccendere fiducia e curiosità.

Ogni piccola azione riduce l’ansia perché ti ricorda una verità semplice ma potente: non controlli tutto, ma controlli solo la tua reazione.

Domande che ti aiutano a ritrovare direzione

Se senti l’ansia da lavoro, fermati e rifletti:

  • Cosa ti piacerebbe fare davvero se potessi ripartire da zero?
  • Cosa ti sta insegnando questo momento sulla tua “relazione” con il lavoro?
  • Cosa posso imparare ora che ti renderà più forte tra 4-6 mesi?

Le crisi, per quanto scomode, sono sempre anche rivelatrici.

A volte ti costringono a fermarti. Altre volte ti aprono possibilità che non avresti mai esplorato, se tutto fosse rimasto stabile.


Se stai vivendo un momento di incertezza professionale, il mio breve percorso di “Cambiamenti in azienda? gestire l’incertezza” può aiutarti a gestire le preoccupazioni, ritrovare direzione e strategia.

Pianifica un nuovo equilibrio

Quando il lavoro è in bilico, è facile che tutto sembri in discussione.

No, non è la fine del tuo percorso!

Ripartire, se davvero sarà il caso, non significherà ricominciare da zero.

Hai capacità, relazioni, esperienze, visione — nessuno può togliertele!

Se vuoi gestire l’ansia da lavoro, dovrai costruire nuove basi, stavolta con più consapevolezza e meno paura.

E se hai bisogno di un punto fermo

A volte, serve qualcuno che ti aiuti a rimettere ordine nei pensieri. Trasformare l’ansia in un piano d’azione concreto.

È qui che il coaching può fare la differenza: uno “spazio sicuro” in cui capire dove vuoi andare, come valorizzare ciò che hai.

Perché anche quando tutto cambia, puoi sempre scegliere come attraversare il cambiamento.

In chiusura … come gestire l’ansia da lavoro

Quando il tuo lavoro è a rischio, la paura è reale.

C’è anche la possibilità di rimettere a fuoco chi sei, cosa vuoi e cosa puoi costruire. Adesso.

Forse non puoi controllare il futuro. Ma puoi prepararti a incontrarlo da protagonista, non da spettatore.

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Troppa negatività nel team: come trasformare le lamentele in soluzioni https://www.ferrarelli-coaching.com/negativita-nel-team-come-trasformare-le-lamentele-in-soluzioni/ Wed, 15 Oct 2025 16:25:51 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43230 Foto di Maël  BALLAND Sei appena entrato in ufficio, pronto per affrontare la giornata con energia. Dopo pochi minuti, l’aria è già pesante. Un collaboratore si lamenta dell’ennesimo compito “senza senso”, un altro borbotta perché il cliente ha chiesto una modifica all’ultimo minuto. Qualcun altro si lascia andare a un sospiro sconsolato, della serie, “tanto […]

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negatività nel team

Foto di Maël  BALLAND

Sei appena entrato in ufficio, pronto per affrontare la giornata con energia.
Dopo pochi minuti, l’aria è già pesante.

Un collaboratore si lamenta dell’ennesimo compito “senza senso”, un altro borbotta perché il cliente ha chiesto una modifica all’ultimo minuto.

Qualcun altro si lascia andare a un sospiro sconsolato, della serie, “tanto qui non cambia mai niente”.

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E tu? Ti senti frustrato.

Alcune lamentele possono anche essere fondate, vero!

Ma hai anche la sensazione che questo atteggiamento stia trascinando tutto il team in una spirale negativa.

Come puoi gestire questa situazione senza diventare autoritario o, al contrario, farti travolgere?

Le lamentele: sintomo o problema?

La prima domanda è: queste lamentele nel team sono un problema reale o sono diventate un’abitudine?

  • Se il team si lamenta di processi inefficienti, forse c’è davvero qualcosa da migliorare.
  • Se invece senti sempre le stesse frasi generiche (“Non è giusto”, “Non abbiamo tempo”, “Non funziona nulla!”), il problema potrebbe essere più profondo

Un calo di motivazione, la percezione di non essere ascoltati o semplicemente un’abitudine a vedere sempre (e solo) il lato negativo.

Adesso chiediti:

  • Nel tuo team, le lamentele portano a soluzioni o si ripetono all’infinito?

Negatività nel team: trasforma le lamentele in soluzioni

Se vuoi evitare che la negatività diventi cronica, non basta dire “Adesso basta!”.

Anzi, ignorare o reprimere le negatività nel team potrebbe solo peggiorare le cose. Ecco alcune strategie concrete:

1. Ascolta… ma con un obiettivo

Se qualcuno si lamenta, invece di dire “E dai, sempre le stesse cose!”, prova a chiedere: “Cosa suggeriresti per migliorare questa situazione?”

Questa semplice domanda aiuta a spostare il focus dal problema alla soluzione.

 


 

2. Fai emergere il lato positivo

Immagina che qualcuno dica: “Siamo sempre pieni di lavoro, non ce la faccio più!”

Invece di confermare la negatività, puoi ribaltare la prospettiva: “Vero, il carico è intenso, ma è anche il segnale che il nostro lavoro è importante. Come possiamo gestire meglio il flusso?”

Ecco: riconoscere il problema senza alimentare la lamentela sterile.

3. Imposta un momento per le soluzioni (e non solo per gli sfoghi)

Se le lamentele sono frequenti, potresti introdurre una “riunione delle soluzioni” settimanale.

Dove chi porta un problema deve anche proporre almeno una possibile soluzione.

Si può esprimere un malcontento, ma solo se accompagnato da un atteggiamento propositivo.

Dai l’esempio: il tuo atteggiamento influenza il team

E tu? Riesci a vedere il lato costruttivo delle difficoltà o ti lasci coinvolgere nella negatività del team?

Cerchi le soluzioni o subisci gli eventi?

Il modo in cui tu rispondi alle difficoltà ha un impatto enorme su come si comporta il tuo team.

  • Anche tu ti lamenti delle scelte aziendali?
  • Rispondi con sospiri e frasi scoraggiate quando arriva una richiesta difficile?
  • Oppure trasmetti la convinzione che ogni problema può essere affrontato?

 


 

E ora? È il momento di fare un passo avanti nella tua leadership

La negatività nel team è contagiosa, ma anche l’atteggiamento positivo e proattivo lo è.

Se vuoi che il tuo team smetta di lamentarsi e inizi a trovare soluzioni, il cambiamento deve partire da te.

Qual è il primo passo che puoi fare oggi per trasformare il clima del tuo team?

Se senti che questa situazione ti sta sfuggendo di mano e vuoi un supporto personalizzato per migliorare il tuo stile di leadership, contattami per un breve percorso di coaching mirato.

Insieme possiamo trovare strategie concrete per rafforzare la tua autorevolezza e creare un ambiente di lavoro più motivante e produttivo.

L'articolo Troppa negatività nel team: come trasformare le lamentele in soluzioni sembra essere il primo su Ferrarelli Coaching.

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Leadership al femminile: non solo consigli zuccherosi https://www.ferrarelli-coaching.com/leadership-al-femminile-non-solo-consigli-zuccherosi/ Wed, 08 Oct 2025 09:54:52 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=43038 Sii te stessa. Porta la tua energia femminile in riunione. Ambiziosa sì ma non aggressiva, Decisa ma sempre sorridente. Quante volte hai sentito questi consigli? Magari in un webinar sulla leadership al femminile, un post motivazionale o da qualche coach benintenzionata. Eppure, spesso risuonano vacui per affrontare il mondo del lavoro, fatto di riunioni in […]

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leadership al femminile

Sii te stessa.
Porta la tua energia femminile in riunione.

Ambiziosa sì ma non aggressiva,
Decisa ma sempre sorridente.

Quante volte hai sentito questi consigli?

Magari in un webinar sulla leadership al femminile, un post motivazionale o da qualche coach benintenzionata.

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Eppure, spesso risuonano vacui per affrontare il mondo del lavoro, fatto di riunioni in cui ti interrompono, decisioni da prendere in fretta, e aspettative non dette ma sempre presenti:

A un certo punto, ti viene da chiederti:

  • C’è un modo reale per essere leader, senza sentirsi sempre in equilibrio instabile tra “troppo” e “non abbastanza”?

I consigli “dolci” servono… ma non bastano

Certo, avere fiducia in sé, coltivare la consapevolezza, prendersi cura del proprio benessere emotivo: tutto questo serve.

Ma non può essere l’unico contenuto di una guida alla leadership.

Perché la verità è che la leadership è anche strategia. È saper leggere il contesto.

È scegliere quando parlare, quando ascoltare, quando agire in silenzio e quando farsi sentire.

E soprattutto:

Leadership è imparare a non piacere a tutti

Questa è forse la sfida più grande per molte donne che ambiscono a ruoli decisionali.

Di fatto essere “buone”, “educate”, “piacevoli” non sempre coincide con essere forti, lucide, veloci.

La leadership al femminile, quella vera, quella che cambia le cose, non può ridursi a “farsi amare da tutti restando sempre disponibile”.



Alcune domande scomode, ma utili

Se vuoi crescere nella tua autorevolezza, senza indossare una maschera né aspettare il permesso di nessuno, ti propongo alcune domande pratiche su cui riflettere:

  • Ti stai censurando per paura di risultare “difficile”?
  • In riunione, parli solo quando sei sicura di avere la risposta perfetta?
  • Tendi a usare frasi come “forse”, “secondo me”, “non so se ha senso quello che dico…”?
  • Dici spesso “scusa” anche quando non c’è nulla di cui scusarsi?

Queste non sono colpe.
Spesso sono automatismi.

Dovresti scegliere consapevolmente come vuoi essere percepita: non come “la brava ragazza del team”, ma come una professionista solida, chiara, ascoltata.


Vuoi mettere subito in pratica questi strumenti? Nel mio coaching mirato alla leadership femminile, lavoriamo insieme su comunicazione assertiva, gestione dei conflitti e fiducia in te stessa.

Cosa funziona davvero (almeno, per molte donne leader che ce l’hanno fatta)

1. Allenati a dire di no senza giustificarti.
Dire “no” non ti rende maleducata. Ti rende una persona con confini chiari.

2. Parla anche se non hai la frase perfetta.
Gli uomini lo fanno tutto il tempo. La perfezione non è richiesta: la presenza sì.

3. Fatti vedere. Fatti sentire.
Scrivi, intervieni, fatti coinvolgere in progetti visibili. Non aspettare che qualcuno “ti noti”.

4. Circondati di altre donne ambiziose.
Serve una rete che ti “ricordi” che non sei da sola.

5. Chiedi feedback strategico, non solo “come sto andando?”
Chiedi: “Cosa posso fare per portare più valore in questa fase del progetto?” – è un salto in un altro livello.



Essere leader non significa seguire i modelli maschili

Non significa neppure restare in una comfort zone di “gentilezza” se questa non ti porta avanti.

Essere leader è una costruzione quotidiana: su come parlare, come gestire i conflitti, come proteggere i tuoi spazi e quelli degli altri.

E sì, a volte è anche scomoda.
Ma è qui che avviene la crescita vera.

In conclusione: non scimmiottare nessuno

Non confondere la forza con la durezza.

Molte donne, per farsi rispettare, finiscono per adottare modelli di leadership maschili — il tono autoritario, la distanza emotiva, la freddezza strategica — credendo che sia l’unico linguaggio riconosciuto dal potere.

La tua femminilità non è un vezzo da proteggere, ma una competenza da integrare: sensibilità, intuito, capacità di leggere il contesto.

Qualità che rendono la tua leadership più completa, non più debole.

Non si tratta di addolcire i toni, ma di portare nel mondo del lavoro una forza diversa, capace di combinare lucidità e presenza, risultati e relazioni.

È così che la leadership al femminile smette di essere una categoria e diventa semplicemente una forma più evoluta di leadership.

Non devi affrontare questo percorso da sola.

Con il mio coaching professionale, puoi rafforzare la tua presenza, integrare femminilità e autorevolezza e guidare con sicurezza ogni giorno.

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Come sembrare brillante in riunione – anche se sei esausto https://www.ferrarelli-coaching.com/come-sembrare-brillante-in-riunione-anche-se-sei-esausto/ Wed, 01 Oct 2025 12:53:01 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=42722  Foto di Matthew Cain A volte non è questione di pigrizia. Indolenza. Hai dormito poco, per le tante preoccupazioni, il cervello è lento, la lista delle cose da fare è infinita. A volte, Ti senti stanco. Semplicemente. Ma non te lo puoi proprio permettere! Se lavori in un contesto competitivo, sai di cosa parlo. […]

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gestire la stanchezza al lavoro
Foto di Matthew Cain

A volte non è questione di pigrizia. Indolenza.

Hai dormito poco, per le tante preoccupazioni, il cervello è lento, la lista delle cose da fare è infinita.

A volte, Ti senti stanco. Semplicemente.
Ma non te lo puoi proprio permettere!

Se lavori in un contesto competitivo, sai di cosa parlo.

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Non lasciare che la stanchezza rubi la tua autorevolezza

Devi dare l’impressione di essere sul pezzo, brillante, reattivo.

Come fai a risultare lucido e convincente, quando l’unica cosa che vorresti fare è appoggiare la testa sulla scrivania, anche solo per una siesta-turbo?

Vuoi comunicare con presenza e sicurezza, lasciando davvero il segno in ogni riunione?

Scopri il percorso di coaching mirato “Come lasciare il segno in meeting e riunioni e rendi ogni tuo intervento chiaro, incisivo e memorabile.

La stanchezza non si vede solo dalle occhiaie

Spesso ci illudiamo che basti una camicia ben stirata, un sorriso e una battuta di circostanza per cominciare la riunione, e mascherare la stanchezza.

Chi lavora con te – clienti, colleghi, manager – non coglie solo ciò che dici, capta anche il tuo tono, la velocità, la chiarezza, l’energia che ci metti.

Si “sente”.

La stanchezza si nota nel modo in cui eviti di prendere parola, nel commento che arriva fuori-tempo.

Nella difficoltà a collegare idee (ehm, ehm ecc.), nel fatto che dici “Sono d’accordo” anche se si vede che non lo sei.

Come gestire la stanchezza al lavoro? Come essere presente senza fingere di essere al 100%, e comunque risultare efficace, centrato, brillante?



La brillantezza non è solo energia: è intenzione

Non devi essere brillante sempre.
Nessuno è sempre brillante.

Puoi dire meno, ma meglio. Punta alla qualità, non la quantità.

Meglio apparire raccolto, piuttosto che sbiadito. Meglio sembrare essenziale, sintetico, che dispersivo.

Non devi essere scoppiettante. Devi essere intenzionale.

Quando sei stanco, non hai energie da sprecare. Se parli poco, ma bene, arrivi più lontano di chi parla tanto, ma a vuoto.

Tre domande da portare con te in ogni riunione (anche da mezzo addormentato)

Se non hai risorse mentali per dare il 100%, punta al 70%.

Se vuoi gestire la stanchezza al lavoro, nello specifico nella riunione, arriva con queste 3 domande già chiare nella testa:

1. “Qual è il mio obiettivo minimo per questa riunione?”

2. “Qual è il punto su cui posso dare davvero valore oggi?”

3. “Cosa posso dire di breve ma memorabile?”

Strategie concrete per sembrare presente

  • Prepara 2 frasi forti da dire, prima ancora di entrare

Scrivile. Brevi. Chiare. Di impatto.

Un collegamento strategico, una sintesi efficace: spesso vale più di 10 minuti energici.

Così, anche se vai in modalità “pilota automatico”, avrai qualcosa di pronto.

  • Fai domande strategiche invece di risposte lunghe

Le domande svegliano l’attenzione, ti posizionano come curioso e coinvolto.

Ti tolgono il peso di dover spiegare tutto. Piuttosto chiedi:

  • “Qual è l’obiettivo principale che vogliamo raggiungere?”
  • “Qual è la soluzione più semplice da testare subito?”

La dinamica cambia: attiri l’attenzione, guidi la conversazione e dimostri leadership.



  • Prendi appunti “visibili”

Se la riunione è in presenza, scrivere (anche solo parole chiave) ti fa apparire concentrato.

Se è online, annuisci come per dire: “Sì, ci sono”.

  • Non devi sempre emergere

A volte l’obiettivo può essere solo farti notare per un’osservazione utile, o far avanzare un punto strategico.

  • Evita frasi tipo “mi dispiace se non sono chiaro…” o “non so se ha senso…”

Prova invece a riformularlo così: “Ecco il punto centrale su cui voglio portare la vostra attenzione.”

Semplice, diretto. Se davvero qualcosa non è chiaro, saranno gli altri a chiedere. Tu (intanto) hai mostrato sicurezza e chiarezza.

  • Rimanda i confronti pesanti

Quando sei scarico, ogni discussione sembra più grande di quello che è. È facile reagire di pancia, fraintendere, o trasformare un commento in una battaglia.

Se le circostanze lo permettono, evita di infilarti in contestazioni, dibattiti o feedback negativi proprio nei giorni in cui la tua energia è al minimo.

Scegli il momento giusto!

  • Magari sei poco lucido sull’intero progetto, ma c’è un aspetto che conosci bene.

Punta tutto lì.


LA TUA AUTOREVOLEZZA SUL LAVORO

Il mio primo libro “Autorevolezza” (NUOVA edizione aggiornata 2025) ti guida se vuoi consolidare il tuo impatto e carisma.

Il libro “Prima volta Leader” invece è perfetto se affronti per la prima volta la gestione di un team.

In conclusione

La prossima volta che sei esausto e stai per entrare in riunione, non cercare di sembrare Superman.

Cerca di essere piuttosto strategico. Intenzionale.

Usa bene quel poco di energia che ti resta, se vuoi gestire la stanchezza al lavoro.

Con il percorso mirato “Lascia il segno in meeting e riunioni” impari a comunicare con autorevolezza e impatto, senza forzature

L'articolo Come sembrare brillante in riunione – anche se sei esausto sembra essere il primo su Ferrarelli Coaching.

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Se pensi “mi merito di più sul lavoro”, hai ragione! Ora però dimostralo https://www.ferrarelli-coaching.com/se-pensi-mi-merito-di-piu-sul-lavoro-hai-ragione-ora-pero-dimostralo/ Wed, 24 Sep 2025 15:43:14 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=42846 Foto di MART PRODUCTION Quante volte ti sei detto: “Mi merito di più sul lavoro”? Uno stipendio più alto. Un ruolo diverso. Più responsabilità. Forse, semplicemente, più riconoscimento. Più considerazione. Rispetto. Se pensi spesso: “Mi merito di più sul lavoro!” sappi una cosa: hai ragione! Se senti che ti meriti di più, significa che dentro […]

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mi merito di più sul lavoro Foto di MART PRODUCTION

Quante volte ti sei detto: “Mi merito di più sul lavoro”?

Uno stipendio più alto. Un ruolo diverso. Più responsabilità.

Forse, semplicemente, più riconoscimento. Più considerazione. Rispetto.

Se pensi spesso: “Mi merito di più sul lavoro!” sappi una cosa: hai ragione!

Se senti che ti meriti di più, significa che dentro di te qualcosa sta crescendo.

Hai iniziato a pensarti-oltre.

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Mi capita spesso nei percorsi di coaching : professionisti convinti di meritare di più. E hanno ragione.

Ma la sfida non è solo crederci: è dimostrarlo, con scelte, comportamenti e presenza.

Il punto, quindi, non è se ti meriti di più.
ma .. cosa stai facendo per dimostrarlo?

Merito e riconoscimento non sono la stessa cosa

Quante volte hai pensato: “Se lavoro bene, qualcuno se ne accorgerà.”

È un’illusione. La realtà è diversa.

Il merito non sempre è visibile. Non sempre viene notato. Anzi.

Allora la domanda diventa inevitabile:

  • Quanto del tuo lavoro è evidente agli occhi di-chi-decide?

Non si tratta di “venderti”, ma di rendere visibile il tuo valore. Se resta impercettibile, rischia l’invisibilità.



Molti professionisti faticano a promuovere sé stessi

La sola idea di far emergere il tuo contributo ti mette a disagio?
Non vuoi sembrare arrogante?

Hai sempre lavorato con modestia e ti sembra un tradimento del tuo stile?

Così resti dietro le quinte, convinto che la qualità del tuo lavoro parlerà da sola.

Mentre tu pensi: “Mi merito di più sul lavoro…”, qualcun altro nel frattempo si muove.

E spesso non è il più preparato: a volte è il collega con meno competenze, ma con più intraprendenza — o persino con un po’ di insolenza e leggerezza — a raccogliere visibilità.

Perché osa, si espone, non ha paura di sembrare “troppo”.

Non aspettare che qualcuno ti noti

Prepari una presentazione impeccabile, curi ogni dettaglio.

In riunione, però, ti limiti a mostrare le slide e ad aspettare che gli altri colgano il valore del tuo lavoro.

Nessuno ti critica, anzi: annuiscono, prendono nota… e passano oltre.

Il giorno dopo, la stessa idea viene rilanciata da un collega più abile nel raccontarla. E all’improvviso sembra sua. (leggi il post su come placcare il collega scorretto).

Quindi? Non basta fare: serve dare voce a ciò che fai.



Non confondere fatica con valore

Restare fino a tardi, dire sempre sì, caricarti di impegni: non significa automaticamente crescere.

Spesso finisci solo per diventare il punto di appoggio: l’esecutore affidabile.
Tutto qua.

Non la persona a cui affidare responsabilità strategiche, ancor meno “quello che fa crescere il progetto o il team”.

Il rischio è che il tuo sforzo sia visibile più come abitudine che come valore.

Non limitarti al confronto con i colleghi

Ti guardi attorno e pensi: “Io faccio più di lui/lei/tutti, quindi mi spetterebbe di più.”

Ma il riferimento giusto non sono i colleghi: è chi già occupa il ruolo a cui aspiri.

Forse sei davvero il più preciso, il più affidabile, il più veloce.

Se vuoi crescere a livello manageriale, non basta fare meglio del collega accanto: devi iniziare a ragionare — e a muoverti — come chi prende decisioni, non solo come chi esegue.

Dimostrare, non solo pensare

Cosa significa davvero dimostrare di meritare di più?

Non basta essere bravi. Neanche sentirsi pronti.

Vuoi essere visto come leader? Comincia a pensare come un leader, anche senza il titolo.

Desideri più autonomia? Mostra che sai gestirla, non aspettare che ti venga concessa.

Vuoi più riconoscimento? Rendilo visibile: non aspettare che qualcuno lo legga tra le righe.

3 domande scomode se pensi: mi merito di più sul lavoro

Per capire se stai dimostrando davvero il tuo “di più”, prova a chiederti:

  • Sto lavorando per compiacere o per creare valore visibile?
  • Se fossi io il capo, promuoverei una persona come me? Perché si/no?
  • Mi sto già comportando come chi è un passo avanti?

Sono domande scomode, ma sono quelle che ti spostano dal desiderio all’azione.

Dire “mi merito di più” è consapevolezza. Dimostrarlo è responsabilità.

La responsabilità sta nel non aspettare che le cose cadano dall’alto, ma nel creare le condizioni perché quel “di più” diventi fattibile.

Questo significa:

  • costruire relazioni solide, non solo lavorare bene
  • avere il coraggio di chiedere, non solo di aspettare
  • agire oggi come vorresti essere domani



In conclusione

Se ti chiedi spesso “Mi merito di più sul lavoro”, probabilmente hai ragione: sei pronto per un passo avanti.

Ma ricorda: il sistema non promuove ciò che è nascosto.

Il vero salto avviene quando smetti di aspettare che gli altri vedano il tuo valore e inizi a viverlo, incarnarlo, mostrarlo ogni giorno.

Perché sì, te lo meriti.
Ma ora tocca a te dimostrarlo.

Nota finali importanti

Iniziare a ragionare come chi prende decisioni non significa diventare autoritari o sentirsi “più in alto” degli altri. essere arroganti.

Vuol dire cambiare prospettiva.

Spostare lo sguardo dal compito al risultato: non solo “Cosa devo fare?”, ma “A cosa serve davvero questo lavoro?”.

Vuol dire valutare alternative, scegliere in modo chiaro tempi e responsabilità, allineare chi è coinvolto e — soprattutto — assumersi la responsabilità dei risultati, non solo delle attività.

Nei miei percorsi di coaching lavoro proprio su questo: trasformare la consapevolezza di valere di più in strategie concrete di crescita e riconoscimento.

E se vuoi approfondire…

Troverai spunti e casi reali anche nei miei libri:

la NUOVA edizione aggiornata 2025 del mio libro “Autorevolezza” ti aiuta a rafforzare impatto, carisma e comunicazione.

“Prima volta Leader” è il libro pratico perfetto se muovi i primi passi nella gestione di un team.

Due libri complementari per sviluppare la tua assertività, leadership e relazioni efficaci sul lavoro.

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Conflitti in ufficio: come gestirli senza diventare il giudice di Forum https://www.ferrarelli-coaching.com/conflitti-in-ufficio-come-gestirli-senza-diventare-il-giudice-di-forum/ Wed, 17 Sep 2025 10:14:29 +0000 https://www.ferrarelli-coaching.com/?p=42714  Foto di Photo Se sei un leader o un responsabile ti sarà sicuramente successo: due membri del team che non si sopportano. Non è solo una divergenza professionale: è qualcosa di più personale, sottile. Corrosivo. E tu sei nel mezzo. I conflitti in ufficio rallentano il lavoro, contagia l’umore del gruppo. Rischiano di trascinare (tutti […]

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conflitti in ufficio

Foto di Photo

Se sei un leader o un responsabile ti sarà sicuramente successo: due membri del team che non si sopportano.

Non è solo una divergenza professionale: è qualcosa di più personale, sottile. Corrosivo.

E tu sei nel mezzo.

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I conflitti in ufficio rallentano il lavoro, contagia l’umore del gruppo.
Rischiano di trascinare (tutti – compreso te!) in una spirale tossica.

Come gestire queste tensioni senza trasformarti nel giudice di un tribunale?

Quando i conflitti in ufficio non sono più sani

Battute, silenzi, tensioni che si avvertono a pelle.

Evitamento reciproco nelle riunioni, mail fredde, rallentamenti nei progetti perché “non ci si parla”, commenti pungenti sussurrati ai colleghi.

Un conflitto così non si risolve da solo.

Al contrario, tende a crescere

Un certo livello di confronto nel team fa bene: punti di vista diversi generano idee migliori.

Qui non si tratta di comparazione. Parliamo di ostilità che blocca. Frena. Contagia.

Non puoi far finta di nulla, ma non puoi neanche farti tirare dentro al loro duello personale.

Ed è proprio qui che hai un ruolo chiave nei conflitti in ufficio: non per prendere una parte, ma per riportare fluidità dove c’è ingorgo.

La trappola di schierarsi

La prima reazione istintiva, di fronte a due collaboratori che litigano, è capire “chi ha ragione”.

Ma tu non sei un giudice. Non sei lì per distribuire sentenze. Decretare vincitori e vinti.

In un gruppo di lavoro, in un team, se qualcuno perde, alla fine perdono tutti.

Perché non importa chi “ha iniziato”.
Importa che il lavoro torni a correre.
Bene e subito.



Da dove partire: riflessioni da fare come leader

Le domande che devi porti sono:

  • Come posso riportare l’attenzione dal piano personale a quello professionale?

Anche senza volerlo, potresti ascoltare più uno che l’altro, fidarti più di una versione.
Fermati un attimo e chiediti:

  • Sto dando segnali di preferenza che peggiorano la situazione?

Se i confini su comunicazione, rispetto e collaborazione non sono espliciti, ognuno si sente libero di gestire i rapporti a modo suo.

Forse i conflitti in ufficio sono anche i sintomi di regole mai davvero condivise. Chiediti:

  • Sono sicuro di non alimentare io stesso (o con la mia gestione) il conflitto?
  • Le persone si sentono libere di gestire le divergenze o corrono da me per fare da arbitro?
  • Il mio team sa affrontare le tensioni, o vengono evitate finché esplodono?

Stai osservando anche il bisogno nascosto?

Dietro ogni comportamento “sbagliato” c’è quasi sempre un bisogno non riconosciuto:
rispetto, visibilità, autonomia, riconoscimento.

Può essere quando una persona sente che le sue competenze non vengono considerate o percepisce di lavorare tanto senza che il suo contributo sia visto.

Il bisogno di autonomia o di riconoscimento, di essere apprezzata e riconosciuta.

Non farti trascinare solo dal contenuto delle battute e accuse, dietro c’è altro.



Come intervenire senza diventare giudice di Forum

  • Prima separatamente, poi insieme

Inizia con conversazioni individuali.

Ascolta, senza promettere di risolvere per loro. Poi porta i due a un confronto guidato, con regole chiare: tempi di parola, rispetto, focus sul lavoro.

  • Spiega il contesto

Chiarisci che il tuo obiettivo non è stabilire chi ha ragione, ma ripristinare la collaborazione.

Non sei lì per giudicare, ma per garantire che il team funzioni.

  • Riporta al piano comune.

“Cosa ci serve per consegnare questo progetto?” è molto diverso da “Chi ha iniziato per prima?”.

Riportare sul piano professionale aiuta a togliere veleno.

  • Rendi esplicite le regole.

Anche cose ovvie come “Non ci interrompiamo in riunione”, “Le mail devono essere professionali” vanno chiarite, dichiarate, perché ciò che è ovvio per uno (forse) non lo è per l’altro.

  • Monitora, ma lascia responsabilità.

Non sei il babysitter. Il tuo compito è aiutare i due collaboratori “rimettere in moto” la loro collaborazione.

Non devono diventare necessariamente amici. La responsabilità è loro.


Molti dei casi concreti che racconto nei miei libri nascono proprio da conflitti in ufficio: momenti scomodi che, se gestiti bene, diventano trampolini.

“Autorevolezza” nella NUOVA edizione aggiornata 2025 e “Prima volta Leader” sono due libri complementari per sviluppare la tua assertività, team leadership e relazioni efficaci sul lavoro.

Ogni conflitto nel team è anche uno specchio per te

Gestire i conflitti in ufficio non è mai comodo. È una delle competenze che più ti definiscono come leader.

In situazioni simili, molti dei professionisti che seguo nei percorsi di coaching murati scoprono che la chiave non è spegnere il conflitto, ma imparare a guidarlo.

Non devi “mettere pace”, ma piuttosto creare lo spazio in cui le persone possano ricostruire un terreno comune.

Conflitti in ufficio: in conclusione

La tua forza sta nel rimanere fermo al centro, non come giudice, ma come facilitatore.

Chiudendo il capitolo delle questioni personali e apri quello della collaborazione.

Alla fine, la differenza tra un team che implode e uno che evolve è proprio lì: nella tua capacità di leader di non farti risucchiare nel conflitto, ma di trasformarlo in occasione di crescita.

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