Un collaboratore scontento minaccia di andarsene: come gestire la pressione
Foto di MART PRODUCTION
Hai un collaboratore scontento che minaccia di licenziarsi?
Si presenta alla porta del tuo ufficio e con tono brusco ti dice:
“Se non ottengo un aumento o una promozione, sono pronto a lasciare l’azienda.”
Forse è uno dei tuoi migliori elementi.
È pronto a cogliere al volo uno stipendio più alto, più responsabilità, un Mercato più vasto. E non è la prima volta …
Magari ha un “caratterino” (non può essere gestito nel senso tradizionale) ma possiede competenze chiave.
Come ho scritto nel mio libro “Prima volta leader” nella mia esperienza di coaching, il mondo dell’imprenditoria, soprattutto quella piccola e media, soffre in modo particolare il timore della perdita del collaboratore specializzato (che se ti molla si blocca tutto il processo di produzione o l’intero progetto).
Diverse volte, durante le sessioni di coaching, il titolare dell’azienda mi condivide l’obiettivo di trovare il modo “giusto” di affrontare discussioni difficili con il collaboratore scontento ma prezioso.
Trovare il giusto equilibrio per bilanciare garbo e autorevolezza e non toccare “troppo” la sua suscettibilità, per non spingerlo a cambiare azienda.
In ogni caso, è una situazione che mette pressione. Può spingerti a reagire d’istinto.
Cosa fai? Concedi subito ciò che chiede, per paura di perdere una risorsa importante?
Oppure prendi una posizione ferma e rischi di vederlo andar via?
1. Prima di rispondere, rifletti
Quando qualcuno ti mette davanti una scelta forzata, è facile sentirsi sotto pressione.
Il tuo primo istinto potrebbe essere una reazione contro-aggressiva: “La porta è quella!” oppure accontentarlo subito: “Ecco il tuo aumento.”
Ma fermati un attimo. Qualunque decisione presa in preda alle emozioni rischia di essere sbagliata. La pressione si sente in momenti come questi.
Forse temi che la sua uscita destabilizzi il team. Ti senti quasi “ricattato” e questo ti innervosisce. O forse hai paura che, se concedi qualcosa a lui, poi il resto del team farà lo stesso.
In effetti tutte queste supposizioni sono possibili.
Prendi del tempo per riflettere: “Capisco che questa sia una questione importante per te. Voglio prendermi il tempo necessario per valutarla con attenzione.”
Non c’è nulla di male nel rimandare una risposta.
Anzi, è un segnale di leadership.
2. Qual è il vero motivo della richiesta?
Le persone non chiedono un aumento solo per una questione economica. Spesso dietro c’è altro:
- Si sente poco valorizzato?
- È insoddisfatto del suo ruolo?
- Ha ricevuto un’offerta da un’altra azienda?
- È frustrato per il carico di lavoro o per la gestione del team?
Questa richiesta è davvero solo una questione di stipendio,
o è il sintomo di un problema più grande?
Se concedi un aumento senza affrontare la causa profonda, il problema non si risolverà. Il rischio è che la persona resti per qualche mese, ma poi se ne vada lo stesso.
- Conosci realmente il livello di soddisfazione delle persone che lavorano con te?
- Sai cosa li motiva? Cosa li frustra? Cosa li spinge a restare o a cercare altrove?
Durante l’incontro, è il momento di fare domande, ascoltare, cercare di capire il vero messaggio dietro la richiesta.
Magari ha solo bisogno di sfogarsi.
Potrebbero aver bisogno di qualche consiglio sulla gestione della sua carriera, ma questa è una parte normale di qualsiasi relazione dipendente/manager.
3. È davvero insostituibile?
A questo punto, c’è un’altra riflessione importante da fare: se questa persona se ne andasse, sarebbe un danno o un’opportunità?
È un collaboratore chiave? Se ha competenze speciali e il suo contributo è essenziale, forse vale la pena fare uno sforzo (tappandosi il naso) per trattenerlo.
Il suo atteggiamento è positivo? Un collaboratore competente ma demotivato o negativo potrebbe influenzare il team più di quanto immagini.
Se andasse via, quanto tempo impiegheresti a sostituirlo? Hai già qualcuno pronto?
Spesso ci convinciamo che alcune persone siano insostituibili, ma è davvero così?
Se lo trattieni per paura e non per scelta, forse il problema non è lui/lei… ma la tua gestione del team.
Tuttavia, se il collaboratore scontento non porta buone ragioni, non riesce a mantenere la calma o usa regolarmente la minaccia allora … lascialo andare.
Questa non è la persona che vuoi sul tuo posto di lavoro. Se il comportamento continua e non lo gestisci, gli altri dipendenti metteranno in dubbio la tua leadership.
4. Cedere o no? Come prendere la decisione giusta
Ritengo che l’approccio giusto sia qualcosa del tipo:
“Se hai bisogno di parlare, sono qui.
Se l’azienda non soddisfa più le tue esigenze, sono qui.
Se senti frustrazione e ci sono mancanze da parte mia/, possiamo provare a risolverle… ma non sempre ci riusciremo! Siamo entrambi onesti: partiamo da qui e vediamo dove ci porta”.
A questo punto hai due strade:
Trattenerlo, ma alle tue condizioni.
Lasciarlo andare, ma con serenità e strategia.
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Se decidi di concedere qualcosa, fallo con un piano preciso: un aumento legato a obiettivi misurabili. Un percorso di crescita ben definito. Un miglioramento delle condizioni di lavoro (benefit, smart working, nuovi progetti).
Se invece scegli di non cedere, non viverlo come una sconfitta. Anzi, potrebbe essere una liberazione.
- Quanto stress ti ha creato questa situazione?
- Quante energie hai già speso per gestire questa persona?
- Il team funzionerebbe meglio senza di lui/lei?
Se il collaboratore scontento minaccia di andarsene, forse non è così motivato come pensavi.
Se una persona resta solo per i soldi, quanto sarà coinvolta nel lungo termine?
Se la scelta giusta è lasciarlo andare, accetta la decisione con leadership e usa la sua uscita come un’opportunità per migliorare il team.
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