Come sembrare brillante in riunione – anche se sei esausto

gestire la stanchezza al lavoro
Foto di Matthew Cain

A volte non è questione di pigrizia. Indolenza.
Hai dormito poco, per le tante preoccupazioni, il cervello è lento, la lista delle cose da fare è infinita.

A volte, Ti senti stanco. Semplicemente.
Ma non te lo puoi proprio permettere!

Se lavori in un contesto competitivo, sai di cosa parlo.

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Non lasciare che la stanchezza rubi la tua autorevolezza

Devi dare l’impressione di essere sul pezzo, brillante, reattivo.

Come fai a risultare lucido e convincente, quando l’unica cosa che vorresti fare è appoggiare la testa sulla scrivania, anche solo per una siesta-turbo?

La stanchezza non si vede solo dalle occhiaie

Spesso ci illudiamo che basti una camicia ben stirata, un sorriso e una battuta di circostanza per cominciare la riunione, e mascherare la stanchezza.

Chi lavora con te – clienti, colleghi, manager – non coglie solo ciò che dici, capta anche il tuo tono, la velocità, la chiarezza, l’energia che ci metti. Si “sente”.

La stanchezza si nota nel modo in cui eviti di prendere parola, nel commento che arriva fuori-tempo.
Nella difficoltà a collegare idee (ehm, ehm ecc.), nel fatto che dici “Sono d’accordo” anche se si vede che non lo sei.

Come gestire la stanchezza al lavoro? Come essere presente senza fingere di essere al 100%, e comunque risultare efficace, centrato, brillante?

 


 

La brillantezza non è solo energia: è intenzione

Non devi essere brillante sempre.
Nessuno è sempre brillante.

Puoi dire meno, ma meglio. Punta alla qualità, non la quantità.

Meglio apparire raccolto, piuttosto che sbiadito.
Meglio sembrare essenziale, sintetico, che dispersivo.

Non devi essere scoppiettante. Devi essere intenzionale.

Quando sei stanco, non hai energie da sprecare.
Se parli poco, ma bene, arrivi più lontano di chi parla tanto, ma a vuoto.

Tre domande da portare con te in ogni riunione (anche da mezzo addormentato)

Se non hai risorse mentali per dare il 100%, punta al 70%.

Se vuoi gestire la stanchezza al lavoro, nello specifico nella riunione, arriva con queste 3 domande già chiare nella testa:

1. “Qual è il mio obiettivo minimo per questa riunione?”

2. “Qual è il punto su cui posso dare davvero valore oggi?”

3. “Cosa posso dire di breve ma memorabile?”

Strategie concrete per sembrare presente

  • Prepara 2 frasi forti da dire, prima ancora di entrare

Scrivile. Brevi. Chiare. Di impatto. Un collegamento strategico, una sintesi efficace: spesso vale più di 10 minuti energici.

Così, anche se vai in modalità “pilota automatico”, avrai qualcosa di pronto.

  • Fai domande strategiche invece di risposte lunghe

Le domande svegliano l’attenzione, ti posizionano come curioso e coinvolto. Ti tolgono il peso di dover spiegare tutto. Piuttosto chiedi:

  • “Qual è l’obiettivo principale che vogliamo raggiungere?”
  • “Qual è la soluzione più semplice da testare subito?”

La dinamica cambia: attiri l’attenzione, guidi la conversazione e dimostri leadership.

 


 

  • Prendi appunti “visibili”

Se la riunione è in presenza, scrivere (anche solo parole chiave) ti fa apparire concentrato. Se è online, annuisci come per dire: “Sì, ci sono”.

  • Non devi sempre emergere

A volte l’obiettivo può essere solo farti notare per un’osservazione utile, o far avanzare un punto strategico.

  • Evita frasi tipo “mi dispiace se non sono chiaro…” o “non so se ha senso…”

Prova invece a riformularlo così: “Ecco il punto centrale su cui voglio portare la vostra attenzione.”

Semplice, diretto. Se davvero qualcosa non è chiaro, saranno gli altri a chiedere. Tu (intanto) hai mostrato sicurezza e chiarezza.

  • Rimanda i confronti pesanti

Quando sei scarico, ogni discussione sembra più grande di quello che è. È facile reagire di pancia, fraintendere, o trasformare un commento in una battaglia.

Se le circostanze lo permettono, evita di infilarti in contestazioni, dibattiti o feedback negativi proprio nei giorni in cui la tua energia è al minimo. Scegli il momento giusto!

  • Magari sei poco lucido sull’intero progetto, ma c’è un aspetto che conosci bene.

Punta tutto lì.


LA TUA AUTOREVOLEZZA SUL LAVORO
Il mio primo libro “Autorevolezza” (NUOVA edizione aggiornata 2025) ti guida se vuoi consolidare il tuo impatto e carisma.

I libro “Prima volta Leader” invece è perfetto se affronti per la prima volta la gestione di un team.

In conclusione

La prossima volta che sei esausto e stai per entrare in riunione, non cercare di sembrare Superman.
Cerca di essere piuttosto strategico. Intenzionale.

Usa bene quel poco di energia che ti resta, se vuoi gestire la stanchezza al lavoro.

Spesso è lì che sorprendi davvero:
quando dai il massimo possibile in quel momento, anche se non è il massimo assoluto.

E – paradossalmente – è lì che inizi a sembrare brillante.
Anche se stai solo contando i minuti per andare a casa.

Se pensi “mi merito di più sul lavoro”, hai ragione! Ora però dimostralo

mi merito di più sul lavoro Foto di MART PRODUCTION

Quante volte ti sei detto: “Mi merito di più sul lavoro”?

Uno stipendio più alto. Un ruolo diverso. Più responsabilità.
Forse, semplicemente, più riconoscimento. Più considerazione. Rispetto.

Se pensi spesso: “Mi merito di più sul lavoro!” sappi una cosa: hai ragione!
Se senti che ti meriti di più, significa che dentro di te qualcosa sta crescendo.

Hai iniziato a pensarti-oltre.

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Mi capita spesso nei percorsi di coaching : professionisti convinti di meritare di più. E hanno ragione. Ma la sfida non è solo crederci: è dimostrarlo, con scelte, comportamenti e presenza.

Il punto, quindi, non è se ti meriti di più.
ma .. cosa stai facendo per dimostrarlo?

Merito e riconoscimento non sono la stessa cosa

Quante volte hai pensato: “Se lavoro bene, qualcuno se ne accorgerà.”
È un’illusione. La realtà è diversa.

Il merito non sempre è visibile. Non sempre viene notato.
Anzi.

Allora la domanda diventa inevitabile:

  • Quanto del tuo lavoro è evidente agli occhi di-chi-decide?

Non si tratta di “venderti”, ma di rendere visibile il tuo valore.
Se resta impercettibile, rischia l’invisibilità.

 


 

Molti professionisti faticano a promuovere sé stessi

La sola idea di far emergere il tuo contributo ti mette a disagio?
Non vuoi sembrare arrogante?
Hai sempre lavorato con modestia e ti sembra un tradimento del tuo stile?

Così resti dietro le quinte, convinto che la qualità del tuo lavoro parlerà da sola.
Mentre tu pensi: “Mi merito di più sul lavoro…”, qualcun altro nel frattempo si muove.

E spesso non è il più preparato: a volte è il collega con meno competenze, ma con più intraprendenza — o persino con un po’ di insolenza e leggerezza — a raccogliere visibilità.

Perché osa, si espone, non ha paura di sembrare “troppo”.

Non aspettare che qualcuno ti noti

Prepari una presentazione impeccabile, curi ogni dettaglio.
In riunione, però, ti limiti a mostrare le slide e ad aspettare che gli altri colgano il valore del tuo lavoro.

Nessuno ti critica, anzi: annuiscono, prendono nota… e passano oltre.

Il giorno dopo, la stessa idea viene rilanciata da un collega più abile nel raccontarla. E all’improvviso sembra sua. (leggi il post su come placcare il collega scorretto).

Quindi? Non basta fare: serve dare voce a ciò che fai.

 


 

Non confondere fatica con valore

Restare fino a tardi, dire sempre sì, caricarti di impegni: non significa automaticamente crescere.
Spesso finisci solo per diventare il punto di appoggio: l’esecutore affidabile.
Tutto qua.

Non la persona a cui affidare responsabilità strategiche, ancor meno “quello che fa crescere il progetto o il team”.

Il rischio è che il tuo sforzo sia visibile più come abitudine che come valore.

Non limitarti al confronto con i colleghi

Ti guardi attorno e pensi: “Io faccio più di lui/lei/tutti, quindi mi spetterebbe di più.”
Ma il riferimento giusto non sono i colleghi: è chi già occupa il ruolo a cui aspiri.

Forse sei davvero il più preciso, il più affidabile, il più veloce.

Se vuoi crescere a livello manageriale, non basta fare meglio del collega accanto: devi iniziare a ragionare — e a muoverti — come chi prende decisioni, non solo come chi esegue.

Dimostrare, non solo pensare

Cosa significa davvero dimostrare di meritare di più?
Non basta essere bravi. Neanche sentirsi pronti.

Vuoi essere visto come leader? Comincia a pensare come un leader, anche senza il titolo.
Desideri più autonomia? Mostra che sai gestirla, non aspettare che ti venga concessa.
Vuoi più riconoscimento? Rendilo visibile: non aspettare che qualcuno lo legga tra le righe.

3 domande scomode se pensi: mi merito di più sul lavoro

Per capire se stai dimostrando davvero il tuo “di più”, prova a chiederti:

  • Sto lavorando per compiacere o per creare valore visibile?
  • Se fossi io il capo, promuoverei una persona come me? Perché si/no?
  • Mi sto già comportando come chi è un passo avanti?

Sono domande scomode, ma sono quelle che ti spostano dal desiderio all’azione.

Dire “mi merito di più” è consapevolezza. Dimostrarlo è responsabilità.

La responsabilità sta nel non aspettare che le cose cadano dall’alto, ma nel creare le condizioni perché quel “di più” diventi fattibile.

Questo significa:

  • costruire relazioni solide, non solo lavorare bene
  • avere il coraggio di chiedere, non solo di aspettare
  • agire oggi come vorresti essere domani

 


 

In conclusione

Se ti chiedi spesso “Mi merito di più sul lavoro”, probabilmente hai ragione: sei pronto per un passo avanti.
Ma ricorda: il sistema non promuove ciò che è nascosto.

Il vero salto avviene quando smetti di aspettare che gli altri vedano il tuo valore e inizi a viverlo, incarnarlo, mostrarlo ogni giorno.

Perché sì, te lo meriti.
Ma ora tocca a te dimostrarlo.

Nota finali importanti

Iniziare a ragionare come chi prende decisioni non significa diventare autoritari o sentirsi “più in alto” degli altri. essere arroganti.
Vuol dire cambiare prospettiva.

Spostare lo sguardo dal compito al risultato: non solo “Cosa devo fare?”, ma “A cosa serve davvero questo lavoro?”.

Vuol dire valutare alternative, scegliere in modo chiaro tempi e responsabilità, allineare chi è coinvolto e — soprattutto — assumersi la responsabilità dei risultati, non solo delle attività.

Se senti che è arrivato il momento di fare un passo avanti ma non sai da dove iniziare, nei miei percorsi di coaching lavoro proprio su questo: trasformare la consapevolezza di valere di più in strategie concrete di crescita e riconoscimento.

E se vuoi approfondire…

Troverai spunti e casi reali anche nei miei libri:
la NUOVA edizione aggiornata 2025 del mio libro “Autorevolezza” ti aiuta a rafforzare impatto, carisma e comunicazione.

“Prima volta Leader” è il libro pratico perfetto se muovi i primi passi nella gestione di un team.

Due libri complementari per sviluppare la tua assertività, leadership e relazioni efficaci sul lavoro.

Conflitti in ufficio: come gestirli senza diventare il giudice di Forum

conflitti in ufficio

Foto di Photo

Se sei un leader o un responsabile ti sarà sicuramente successo: due membri del team che non si sopportano.

Non è solo una divergenza professionale: è qualcosa di più personale, sottile. Corrosivo.
E tu sei nel mezzo.

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I conflitti in ufficio rallentano il lavoro, contagia l’umore del gruppo.
Rischiano di trascinare (tutti – compreso te!) in una spirale tossica.

Come gestire queste tensioni senza trasformarti nel giudice di un tribunale?

Quando i conflitti in ufficio non sono più sani

Battute, silenzi, tensioni che si avvertono a pelle.

Evitamento reciproco nelle riunioni, mail fredde, rallentamenti nei progetti perché “non ci si parla”, commenti pungenti sussurrati ai colleghi.

Un conflitto così non si risolve da solo.

Al contrario, tende a crescere

Un certo livello di confronto nel team fa bene: punti di vista diversi generano idee migliori.
Qui non si tratta di comparazione.
Parliamo di ostilità che blocca. Frena. Contagia.

Non puoi far finta di nulla, ma non puoi neanche farti tirare dentro al loro duello personale.

Ed è proprio qui che hai un ruolo chiave nei conflitti in ufficio: non per prendere una parte, ma per riportare fluidità dove c’è ingorgo.

La trappola di schierarsi

La prima reazione istintiva, di fronte a due collaboratori che litigano, è capire “chi ha ragione”.
Ma tu non sei un giudice. Non sei lì per distribuire sentenze.
Decretare vincitori e vinti.

In un gruppo di lavoro, in un team, se qualcuno perde, alla fine perdono tutti.

Perché non importa chi “ha iniziato”.
Importa che il lavoro torni a correre.
Bene e subito.

 


 

Da dove partire: riflessioni da fare come leader

Le domande che devi porti sono:

  • Come posso riportare l’attenzione dal piano personale a quello professionale?

Anche senza volerlo, potresti ascoltare più uno che l’altro, fidarti più di una versione.
Fermati un attimo e chiediti:

  • Sto dando segnali di preferenza che peggiorano la situazione?

Se i confini su comunicazione, rispetto e collaborazione non sono espliciti, ognuno si sente libero di gestire i rapporti a modo suo.

Forse i conflitti in ufficio sono anche i sintomi di regole mai davvero condivise. Chiediti:

  • Sono sicuro di non alimentare io stesso (o con la mia gestione) il conflitto?
  • Le persone si sentono libere di gestire le divergenze o corrono da me per fare da arbitro?
  • Il mio team sa affrontare le tensioni, o vengono evitate finché esplodono?

Stai osservando anche il bisogno nascosto?

Dietro ogni comportamento “sbagliato” c’è quasi sempre un bisogno non riconosciuto:
rispetto, visibilità, autonomia, riconoscimento.

Può essere quando una persona sente che le sue competenze non vengono considerate o percepisce di lavorare tanto senza che il suo contributo sia visto.

Il bisogno di autonomia o di riconoscimento, di essere apprezzata e riconosciuta.

Non farti trascinare solo dal contenuto delle battute e accuse, dietro c’è altro.

 


 

Come intervenire senza diventare giudice di Forum

  • Prima separatamente, poi insieme

Inizia con conversazioni individuali.
Ascolta, senza promettere di risolvere per loro. Poi porta i due a un confronto guidato, con regole chiare: tempi di parola, rispetto, focus sul lavoro.

  • Spiega il contesto

Chiarisci che il tuo obiettivo non è stabilire chi ha ragione, ma ripristinare la collaborazione. Non sei lì per giudicare, ma per garantire che il team funzioni.

  • Riporta al piano comune.

“Cosa ci serve per consegnare questo progetto?” è molto diverso da “Chi ha iniziato per prima?”. Riportare sul piano professionale aiuta a togliere veleno.

  • Rendi esplicite le regole.

Anche cose ovvie come “Non ci interrompiamo in riunione”, “Le mail devono essere professionali” vanno chiarite, dichiarate, perché ciò che è ovvio per uno (forse) non lo è per l’altro.

  • Monitora, ma lascia responsabilità.

Non sei il babysitter. Il tuo compito è aiutare i due collaboratori “rimettere in moto” la loro collaborazione. Non devono diventare necessariamente amici.
La responsabilità è loro.


Molti dei casi concreti che racconto nei miei libri nascono proprio da conflitti in ufficio: momenti scomodi che, se gestiti bene, diventano trampolini.

“Autorevolezza” nella NUOVA edizione aggiornata 2025 e “Prima volta Leader” sono due libri complementari per sviluppare la tua assertività, team leadership e relazioni efficaci sul lavoro.

Ogni conflitto nel team è anche uno specchio per te

Gestire i conflitti in ufficio non è mai comodo.
È una delle competenze che più ti definiscono come leader.

In situazioni simili, molti dei professionisti che seguo nei percorsi di coaching scoprono che la chiave non è spegnere il conflitto, ma imparare a guidarlo.

Non devi “mettere pace”, ma piuttosto creare lo spazio in cui le persone possano ricostruire un terreno comune.

Conflitti in ufficio: in conclusione

La tua forza sta nel rimanere fermo al centro, non come giudice, ma come facilitatore.
Chiudendo il capitolo delle questioni personali e apri quello della collaborazione.

Alla fine, la differenza tra un team che implode e uno che evolve è proprio lì: nella tua capacità di leader di non farti risucchiare nel conflitto, ma di trasformarlo in occasione di crescita.

Come dire, senza dirlo, “Il capo sono io!”

il capo sono io

Non si tratta di alzare la voce.
Non serve sventolare il titolo gerarchico.
E non è nemmeno una questione di quante parole — per quanto ricercate — si riesce a mettere in fila.

È il modo in cui la persona prende la parola, fa domande, orienta le risposte…
fa sì che gli altri inizino a seguirla.

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È un modo, quasi invisibile, di far capire chi tiene il timone.
Chi sta guidando la conversazione

Senza che nessuno lo abbia detto apertamente — diventa chiaro a tutti.

Quindi …
come si fa a dire, senza dirlo, “Il capo sono io”?

Autorità dichiarata vs. autorevolezza percepita

C’è una differenza enorme tra dire “Sono io che comando” e trasmettere autorevolezza senza doverlo dichiarare.

La prima modalità funziona solo se gli altri sono costretti ad accettarla. La seconda, invece, nasce da segnali sottili che gli altri colgono e rispettano spontaneamente.

È qui si gioca la leadership vera: non nel titolo che campeggia sul tuo biglietto da visita, ma nella percezione che gli altri hanno di te.

Nasce la riflessione:

  • Quante volte cerchi di convincere gli altri che sei leader, invece di farti riconoscere come tale dal tuo comportamento?

 


 

Il linguaggio silenzioso della leadership

I segnali concreti – spesso – sono più potenti delle parole.

  • Il modo in cui ascolti: non interrompere, non riempire i silenzi, ma dare spazio e poi sintetizzare. Se sai ascoltare, guidi.
  • La chiarezza con cui decidi: anche le piccole decisioni, prese senza troppi giri di parole, comunicano sicurezza.
  • La gestione del tempo: non perderti in dettagli inutili, porta la conversazione avanti.
  • La calma: mentre altri alzano la voce o si agitano, in momenti conflittuali, tu resti stabile. È un segnale che dice: so cosa fare.

La vera autorevolezza si costruisce così: attraverso gesti che parlano per te.
Approfondisci con questo post.

Quando invece ti sforzi troppo: il capo sono io

La tentazione, soprattutto se sei alla prima esperienza (come evidenzio nel mio libro “Prima volta Leader“) e vuoi dimostrare a tutti i costi di avere lo scettro del potere. Il controllo.

Finisci per parlare troppo, spiegare ogni scelta in mille dettagli, ribadire continuamente il tuo ruolo.

Il risultato? Invece di sembrare leader, sembri insicuro.

Come perché?
Ti chiedo:

  • Ti è già successo di parlare di più perché hai paura che, se taci, nessuno ti considererà autorevole?

A esempio, presenti un progetto e invece di andare dritto al punto ti perdi in una lunga premessa, precisando ogni passaggio, quasi a giustificarti.

Oppure, intervieni su ogni dettaglio, anche quelli che non ti competono direttamente: invece di apparire come la guida sicura, trasmetti l’impressione di non fidarti né del tuo lavoro né degli altri.

Alla fine, i tuoi colleghi non ricordano le tue parole ma solo la tua ansia di dimostrare di aver fatto tutto-per-benino.


Non è questione di voce alta o titoli sul biglietto da visita.
È questione di presenza, di come ti posizioni. E imparare a farlo in modo autentico è una competenza che si può sviluppare: è proprio ciò che alleno nei miei percorsi di coaching.

Dire senza dire: piccole pratiche quotidiane

Ecco alcune mosse concrete che aiutano a trasmettere leadership senza dichiararla:

  • Entra nella stanza come se fosse il tuo ufficio: non sto parlando di baldanza, arroganza, ma di presenza: postura dritta, sguardo diretto, calma.
  • Sintetizza: dopo una discussione confusa, riassumi in due frasi i punti chiave. Le persone si affidano a chi semplifica.
  • Usa il silenzio: se hai bisogno di riempire ogni spazio con parole trasmetti insicurezza. Una pausa, invece, cattura l’attenzione.
  • Difendi il team: se qualcuno viene interrotto, ridagli la parola. Se la tensione sale, riporta calma. Chi prende le difese diventa automaticamente il punto di riferimento.

Questi semplici atteggiamenti, se ripetuti, costruiscono la tua reputazione.

 


 

La domanda tuttavia resta …

Come dirlo, senza dirlo, “Il capo sono io”.

Non è una strategia di comunicazione, ma questione di identità.
Se tu per primo non credi di saper gestire le persone, nessun gesto sarà mai abbastanza.

La vera riflessione è:

  • Cosa ti impedisce di vederti come leader, anche prima che gli altri ti riconoscano come tale?

Forse aspetti un titolo. Forse pensi di non avere abbastanza esperienza.
Forse temi che gli altri non ti seguiranno.

La leadership inizia quando decidi di “prenderti” lo spazio, invece di aspettare che ti venga dato (sempre con rispetto e senza l’arroganza del bullo).

In conclusione

Essere il capo non significa alzare la voce o ricordare agli altri che sei il capo.
Significa creare fiducia, dare direzione, saper ascoltare di più e parlare meno.

La prossima volta che partecipi a una riunione, presentazione, evento ecc. prova a chiederti:

  • Come posso far capire che sono il leader, senza dichiararlo?
  • Quale piccolo gesto oggi può trasmettere la mia sicurezza?
  • Che cosa cambierebbe se iniziassi semplicemente a comportarmi da leader?

Perché spesso, non serve dire il capo sono io.
Basta esserlo.

La comunicazione è il cuore dell’autorevolezza:
con la nuova edizione aggiornata 2025 del mio libro “Autorevolezza” e il volume complementare “Prima volta Leader” hai due strumenti pratici per migliorare il tuo impatto, carisma e leadership.

Il libro Autorevolezza: ecco la NUOVA edizione aggiornata 2025

il libro autorevolezza

Quando ho pubblicato la prima edizione di Autorevolezza, il mio obiettivo era semplice: offrire strumenti pratici per essere ascoltati, rispettati e seguiti senza alzare la voce, senza forzare l’autorità, ma conquistando credibilità giorno dopo giorno.

Il riscontro è stato molto lusinghiero: recensioni positive, messaggi di lettori che mi raccontavano di cambiamenti concreti sul lavoro, testimonianze di team più coesi e leader più sicuri di sé.

Negli ultimi anni, il contesto è cambiato.

Sono cambiate le dinamiche nei luoghi di lavoro, è arrivata la Generazione Z nelle aziende, lo smart working ha modificato i rapporti.

La leadership si esercita sempre più in modalità ibrida, in un equilibrio tra presenza fisica e lavoro da remoto. In questo nuovo scenario, il concetto di autorevolezza è diventato ancora più centrale.

Oggi più che mai, sapersi guadagnare il rispetto, la fiducia e l’ammirazione dei propri collaboratori è la chiave per guidare con efficacia.

Non è una semplice ristampa

Ho mantenuto il titolo e il formato, così chi ancora non conosce il libro possa beneficiare anche delle recensioni e testimonianze della prima edizione.

Ho rivisto e alleggerito alcuni contenuti (gestione delle videoconferenze -che sono diventati parte della quotidianità), ne ho eliminati altri ormai superati (pandemia).

La novità?

Un capitolo completamente nuovo (36 pagine): “Essere autorevole con la Generazione Z”, per capire e gestire al meglio la generazione destinata a diventare la componente più numerosa della forza lavoro.

Non si tratta solo di un cambio generazionale, ma di un vero cambiamento culturale, con aspettative, valori e dinamiche relazionali molto diverse rispetto al passato.

 

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Il libro autorevolezza ti offre strumenti pratici per:

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Sia che tu gestisca un team, ricopra un ruolo di leadership o semplicemente voglia migliorare le tue relazioni professionali.

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Il mio obiettivo è aiutarti ad allenare i tuoi “muscoli caratteriali”: fiducia, intraprendenza e determinazione.

L’autorevolezza non è un dono innato: questo libro ti mostra come svilupparla concretamente, giorno dopo giorno, nel tuo contesto professionale.

Comunicazione che incide: impara a comunicare in modo chiaro, deciso e diretto. Farti ascoltare, rispettare, senza alzare la voce o imporre autorità. Le parole giuste, dette nel modo giusto, cambiano le dinamiche relazionali.

Connessione con la Generazione Z: comprendi le caratteristiche della nuova generazione e adatta la tua leadership per motivarla, coinvolgerla e farti seguire.

È un “allenamento” delle tue soft skill: migliora la tua fiducia, intraprendenza, carisma: le vere leve del leader efficace.

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Perché scegliere questo libro

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Dal sommario:

Leader autorevole vs. capo autoritario – La tua comunicazione autorevole – Parole che minano la tua autorevolezza – Non scusarti – Alza di una tacca il tono della tua voce – Errori da evitare nella comunicazione non verbale – I pilastri dell’autorevolezza – Gestire una riunione con l’autorevolezza di un executive – Riunioni con il capo, titolare, direzione, CEO – Esprimere il disaccordo (senza fare danni) – Dare feedback in modo efficace e autorevole – Come porre riconoscimenti potenzianti – Gestire un collaboratore difficile con autorevolezza – Il coaching

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Buona estate! Ci rivediamo in settembre

Leadership è anche esporsi: un leader vero, quando serve, lo fa

leadership è anche esporsi

Foto di Moe Magners

Nel post precedente ho parlato dei momenti in cui il silenzio del leader parla più di tutto.

In questo invece affronto i momenti opposti, ovvero quando le situazioni non richiedono ascolto, diplomazia, attesa. Equilibrio.
Silenzio.

A volte, c’è solo una cosa che serve davvero: che ci facciamo sentire! Leadership è anche esporsi.

Non con arroganza, ma con forza. Assertività.

Non per imporre, ma per guidare il team.

Con voce ferma. Spalle larghe. Intenzioni chiare.

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Perché, se non sei tu a incarnare la leadership in quel preciso momento, chi lo farà? Magari qualcun altro — con meno visione, con meno coscienza, con meno responsabilità.

Vediamo in quali occasioni devi prendere la parola, farti sentire, quando leadership è anche esporsi:

Quando il team si sente smarrito

Per esempio, dopo un fallimento importante. Tutti si guardano attorno, cercano una direzione, ma nessuno osa parlare. Non è il momento una condivisione.

È il momento di prendere in mano la situazione.

  • “Ok, ci siamo persi. Ora si fa così: questo è il piano. Seguitemi.”

È una leadership che non chiede il permesso, ma offre protezione.
Non lascia spazio all’incertezza. La riempie.

Quando un collaboratore si comporta male con i colleghi

È brillante, porta risultati eccellenti, ma il tuo collaboratore manca sistematicamente di rispetto al resto del team. Potresti chiudere un occhio per non compromettere la performance.

Ma tu sai che ogni volta che taci, stai sacrificando un tuo valore.
Un “pezzo” della tua leadership.

E allora ti fai sentire. A porte chiuse, a quattr’occhi e voce ferma:

  • “Il rispetto non è negoziabile. Nemmeno per te.”

Non è una questione personale. È una questione culturale.
Chi è leader lo sa.

MORE: come gestire i vari collaboratori difficili

 


 

Quando il team è sotto pressione

Facciamo un esempio: il Management comunica, senza preavviso, che i bonus annuali verranno sospesi. Nessuna spiegazione chiara. Solo una fredda e-mail.

Il team è frustrato, demotivato. Ti guardano. Aspettano.

Potresti fare il diplomatico, mediare, restare neutrale.
La tua squadra ti guarda. Aspetta di vedere cosa farai. Da che parte stai.

Potresti restare vago, dire “vedremo” o “non dipende da me”. Invece:

  • “Capisco le esigenze di bilancio, ma non condivido il modo. Questo team ha lavorato duro. Merita trasparenza e rispetto. Chiederò che si trovi un’alternativa.”

Potresti non riuscire. Non concretizzare nulla. Per il solo fatto che prendi le difese del team … è qui che costruisci la fiducia delle persone che lavorano con te.

È nei momenti scomodi, non in quelli tranquilli, che si guadagna la fiducia.

 


 

Leadership è anche esporsi? Sì, anche quando la qualità si abbassa

La qualità scende, la mediocrità si insinua. Silenziosa.
Tutti lo vedono, ma nessuno parla. Allora lo fai tu.

  • “Questo lavoro non è stato all’altezza. Da domani si cambia! Lo standard qualitativo deve alzarsi”

Certo, darai fastidio. Qualcuno si offenderà.

Se sei troppo preoccupato di piacere, allora stai solo seguendo l’inerzia.

Come dire cose importanti

Quando devi dire qualcosa che pesa — una presa di posizione, un dissenso, una verità scomoda — ricorda che le persone non ricorderanno solo cosa hai detto, ma se hai avuto il coraggio di dirlo con chiarezza e rispetto.

  • Sii diretto, non aggressivo. Usa frasi brevi. Vai al punto. “Non condivido questa scelta” è più forte di “Avrei preferito un approccio diverso”.
  • Usa “io” invece di “voi”.
  • Spiega la tua intenzione. Esempio: “Dico questo per difendere il valore di questo gruppo, non per creare conflitto.”

Mantieni lo sguardo fermo. Guarda negli occhi, ma senza sfidare.

  • Il tono calmo e deciso. La fermezza non ha bisogno di alzare la voce.
  • Postura aperta. Schiena dritta, mani visibili, non incrociare le braccia.
  • Pause consapevoli. Una pausa dopo una frase chiave rafforza il tuo messaggio.


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“Prima volta Leader” è pensato se hai assunto da poco un ruolo di leader.

Non evitare il conflitto ma decidi quando vale la pena affrontarlo

Leadership non significa piacere a tutti – ma rispettare ed essere rispettato anche quando scomodo.

E soprattutto: non significa aspettare il momento giusto per essere forti, ma riconoscerlo quando arriva. Perché quei momenti non durano a lungo. O li prendi o li perdi.

Allora chiediti — senza filtri, senza scuse:

  • Quante volte ti sei trattenuto per paura di sembrare troppo duro?
  • Hai abbassato la voce per paura di perdere l’approvazione?

E se invece, in quelle situazioni, essere forte era proprio ciò che serviva?

Leadership è anche esporsi, non solo nel silenzio, ma nel coraggio di esporsi.
Di metterci la faccia. Di reggere la tensione. Di dire: “La responsabilità è anche mia.”

Il potere del silenzio: la leadership che non ha bisogno di parlare

potere del silenzioFoto di cottonbro studio

Ci sono momenti in cui parlare è un gesto istintivo.

Ma ci sono momenti — più rari, più preziosi — in cui il silenzio è la risposta più potente che tu (come leader) possa dare.

Hai mai avuto il coraggio di stare zitto, proprio quando tutti si aspettavano che tu parlassi?
Non è facile. Il silenzio espone.
Pesa.

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Il silenzio, quello vero, non è assenza di voce: è presenza, corposa, inamovibile

Alcune domande sono spinose, ma quanta verità ci puoi trovare dentro.

Ci hai mai pensato? Hai bisogno di parlare perché hai paura di perdere autorità?
Ti sei mai chiesto se, invece, la tua vera forza non risieda proprio nel sapere quando restare in silenzio?

Hai appena concluso (con il tuo team) un progetto importante. Il risultato è lontano dagli obiettivi, il morale è basso. Il clima è teso, qualcuno cerca colpe. Tutti si guardano.
Tutti ti guardano… è il tuo turno.

Prendi la parola… o almeno ci si aspetta che tu lo faccia.

Ma invece di esporti con frasi tipo:

  • “Ve l’avevo detto…”
  • “Comunque l’idea iniziale non era male…”
  • “È stato un errore di esecuzione, non di strategia…”

Respiri. Guardi negli occhi il suo team. Resti in silenzio.

 


 

In quel momento, il silenzio dice tutto: non c’è bisogno di trovare un colpevole (perlomeno non ora). Ogni parola in più rischia di distrarre dalla realtà. Un onesta riflessione è più utile di 1000 critiche.

E poi, con calma, poni la domanda:

  • “Cosa impariamo da questo?”

Nient’altro. Nessuna giustificazione. Nessun rumore di fondo.
Solo spazio per la crescita.

La vera leadership non consiste nel dire sempre qualcosa, ma dire (poche) cose giuste al momento giusto.

Non scalpitare per dire “Io l’avevo detto”

In un fallimento del team (di cui fai parte anche tu -sei il capo!), la tentazione è forte: sottolineare che avevi ragione. Ma lì, proprio lì, il silenzio è eleganza.

È leadership matura.

Se hai bisogno di ribadire tutte le volte di avere ragione… ha già perso in partenza!

 


 

Quando il team cerca da te le risposte

I leader si sentono in dovere di risolvere i problemi. Tendono a essere per il team un comodo-pronto-intervento.

Puoi far crescere il team, aiutare i tuoi collaboratori a raggiungere standard più elevati non-aiutando. Restando in silenzio. Senza portare la soluzione.

Se sei troppo ansioso di-aiutare, sarai oberato e sopraffatto di lavoro perché sei “sempre troppo utile”.
Quando dai sempre la soluzione “pronta e subito” … si formerà la fila alla porta del tuo ufficio!

Se vuoi far crescere le persone, se desideri che veramente imparino, lasciali risolvere il problema da soli.

Non-aiutare, vuol dire permettere di costruirsi la capacità, la competenza e la fiducia in sé stesso.

Il silenzio qui non è vuoto. È spazio per l’intelligenza collettiva.

Quando la provocazione bussa alla tua porta

Un commento velenoso. Una sfida aperta.
Oppure una critica velata.

Rispondere subito — magari con tono acceso o difensivo — fa il gioco di chi provoca. Ti metti sullo stesso piano. Tacere ti mette un gradino più in alto.

Tacere ti permette di scegliere se/quando/come rispondere.

Il silenzio ti dà tempo. Ti protegge dall’impulso.
Rompe il gioco.

 


 

Chi provoca cerca potere. Il tuo silenzio glielo nega

Chi è fuori lo vede chiaramente: il vero leader è quello che non si fa trascinare.

Quando non reagisci, l’aggressività dell’altro si rivela per ciò che è: gratuita, sproporzionata, insicura.

Il tuo silenzio diventa uno specchio in cui si riflette il comportamento di chi attacca.

Tacere non è subire. È scegliere di non farsi dettare i tempi, il tono, il terreno.
È controllo. Proprio in quel controllo che si riconosce la vera leadership.

Non usare la tua autorità per chiudere una discussione

Durante una riunione, due membri del tuo team stanno discutendo animatamente su una proposta. Gli altri si irrigidiscono. Ti guardano. Sei il leader.

Potresti intervenire. Potresti chiudere tutto con una frase secca. Hai il potere. Potresti farlo.
Sei il leader. Ma non lo fai.

Se parli uccidi il pensiero critico sul nascere.

Resti in silenzio. Ascolti. Lasci che si confrontino, che si chiariscano (ovviamente mantenendo i limiti).

Non per disinteresse, ma perché hai fiducia nella loro intelligenza.
E alla fine, magari, da quel confronto nasce un’idea che nessuno aveva pensato.

Il silenzio, in questo caso, non è assenza di guida.
È presenza che non soffoca. È fiducia che fa crescere.

È come dire: “Voglio capire, non comandare”.
È lasciare spazio al dissenso sano.


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La NUOVA edizione aggiornata 2025 del mio libro “Autorevolezza” ti aiuta a rafforzare impatto, carisma e comunicazione. “Prima volta Leader” è il libro pratico perfetto se muovi i primi passi nella gestione di un team.

Due libri complementari per sviluppare la tua assertività, leadership e relazioni efficaci sul lavoro.

Non colmare un momento di imbarazzo

Hai appena dato un feedback critico alla tua collaboratrice improduttiva.
Lei non risponde. Abbassa lo sguardo. C’è tensione nella stanza.

Il tuo istinto è intervenire: dire qualcosa per “salvare” la situazione, alleggerire, smorzare il disagio.
C’è tensione. Attesa. Disagio.

Ma non lo fai.
Resti in silenzio. Le dai spazio. Tempo.

E dopo qualche secondo, lei alza lo sguardo e dice: “Lo so… è vero. Me ne accorgo anch’io.”

Quel silenzio imbarazzante è il ponte verso una presa di coscienza.
Interromperlo avrebbe solo evitato di portarlo a galla.

Sono i momenti in cui emergono le verità che nessuno osa dire.
Si misura il peso di una decisione, di un fallimento, di un cambiamento.

Spezzare quel momento è un’occasione persa di crescita. Meglio restare. E “sentire” il disagio.

Taci, quando sei arrabbiato o sfiduciato

Quando le emozioni sono forti, le parole (anche nelle e-mail) possono fare male.

Quando ti senti intimamente demoralizzato, deluso, amareggiato, afflitto … dai risultati sul lavoro, dal comportamento delle persone, dalla vita … se parli troppo, corri il serio rischio che dalla tua bocca usciranno sterili piagnistei, patetiche lamentele.

Meglio tacere!

È molto meglio scegliere il silenzio del leader. Libero sfogo alle amarezze e delusioni davanti ad una birra al bar, con un caro amico.

Una riflessione scomoda, ma necessaria

“Guidare un team non significa sempre avere l’ultima parola. A volte, significa avere l’ultimo sguardo.
E lasciarlo parlare per te.”

Come gestire con successo un team multigenerazionale

team multigenerazionale
Foto di Thirdman

Immagina… hai appena ricevuto un progetto importante con una scadenza pressante.

Il tuo primo pensiero di team leader è affidare le parti più complesse e delicate al tuo collaboratore senior che conosce ogni dettaglio del lavoro, e si muove con sicurezza. Agli altri collaboratori aspetti intermedi e piccole mansioni marginali.

“Così siamo più veloci, facciamo prima, non rischiamo errori”.

Nel brevissimo termine, funziona. Ci sta!
Se questa dinamica si ripete – come spesso accade – si creano tensioni silenziose.

Il tuo collaboratore senior inizia a sentirsi il “risolutore ufficiale” di tutti i problemi critici. Si ritrova sulla scrivania tutto ciò che è urgente e spinoso, senza tregua. Oppure deve spiegare continuamente cosa-fare agli altri. Che palle!

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I tuoi collaboratori junior, arrivati pieni di entusiasmo ma ancora incerti su come muoversi, vedono che il lavoro importante lo fanno sempre gli altri. Nessuno lo dice, ma il messaggio è chiaro: “Per ora, stai in disparte”.

I più esperti iniziano a mostrare segni di frustrazione e demotivazione, perché devono rallentare per spiegare concetti (per loro scontati).

I più giovani, invece, si sentono sempre più insicuri. Temono di non essere all’altezza, il che li porta a chiedere continuamente conferme o, peggio, a chiudersi in un silenzio carico di insicurezza.

Con il tempo, il tuo collaboratore junior … resta junior.

Come puoi equilibrare il team multigenerazionale senza creare tensioni o rallentare il lavoro?

La soluzione più comune (ma anche efficace se saltuaria) è quella di affidare i compiti difficili ai più esperti e lasciare ai nuovi arrivati solo mansioni semplici.

Dovresti (tuttavia) costruire occasioni strutturate in cui tutti possano crescere: anche i nuovi arrivati o chi ha meno esperienza.

Delegare con intelligenza significa permettere a tutti di affrontare un piccolo tratto di strada fuori dalla sua zona di comfort, sapendo che c’è qualcuno pronto ad affiancarlo, non a sostituirlo.

A lungo termine, si crea un team più forte.
E soprattutto più motivato.

 


 

Il giusto equilibrio tra guida e autonomia

Se i senior si sentono sovraccarichi e sottovalutati, i junior non hanno mai la possibilità di crescere, il tuo compito di leader è creare un ambiente in cui tutti possano contribuire, a livelli diversi.

Affida ai più esperti il ruolo di mentori informali, non di “insegnanti obbligati”.

Chiediti:

  • Quanto spazio sto dando ai più giovani per imparare?
  • Sto valorizzando i senior o li sto solo caricando di responsabilità?
  • I miei collaboratori più esperti si sentono apprezzati per il loro valore?
  • Oppure stanno solo facendo “il lavoro sporco” mentre i nuovi imparano?

Valorizza l’esperienza senza creare barriere

A volte i collaboratori più esperti possono sentirsi minacciati dai nuovi arrivati, soprattutto se vedono in loro il futuro della squadra.

È essenziale che tu li aiuti a capire che il loro valore non è solo nelle competenze tecniche, ma anche nella capacità di trasmettere il loro sapere.

Puoi organizzare delle brevi sessioni di condivisione delle competenze, dove i senior raccontano come hanno affrontato situazioni difficili in passato. Momenti di dialogo in cui le esperienze diventano crescita per tutti.

Stimola la collaborazione, non la competizione

Uno degli errori più comuni che potresti commettere nella gestione di un team multigenerazionale è lasciare che si crei una divisione netta tra esperti e meno-esperti.

Se senti espressioni tipo “lui/lei è troppo inesperto per questo” o “questo è un compito da senior” è il segnale che si sta creando una gerarchia rigida.

Come leader, devi creare occasioni in cui i due gruppi possano interagire senza sentirsi in competizione.

Un buon metodo è introdurre progetti di lavoro misto, dove ognuno può contribuire con le proprie competenze. Ad esempio, un nuovo arrivato potrebbe portare un’idea innovativa su un processo consolidato, mentre un senior potrebbe guidarlo nell’implementazione pratica.

 


 

Puoi anche utilizzare il reverse mentoring, in cui i più giovani insegnano ai senior qualcosa di nuovo (come l’uso di nuove tecnologie o strumenti digitali). Questo scambio crea rispetto reciproco e riduce le distanze.

Rifletti:

  • Il tuo team sta davvero lavorando insieme o esistono fazioni che si muovono separatamente?
  • Sto creando occasioni per la collaborazione o sto alimentando inconsapevolmente una competizione interna?


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“Prima volta Leader” è pensato se hai assunto da poco un ruolo di leader.

Comunicazione chiara e aspettative definite

La chiave per far funzionare un team multigenerazionale è la chiarezza nelle aspettative.

Ogni membro del team deve sapere cosa ci si aspetta da lui/lei, in modo che nessuno si senta perso o sotto pressione. Una distribuzione trasparente e condivisa delle aspettative.

Per esempio: assegnare il compito di supervisionare e approvare le proposte chiave, chi si occupa della parte creativa, chi lavora sulla revisione, e poi chi dà l’ok finale.

In questo modo, nessuno si sente perso. Poco-utilizzato. Sovraccaricato.

Team multigenerazionale: la differenza non è nell’esperienza, ma nella chiarezza

Quando ognuno sa esattamente qual è il suo perimetro di movimento, chi prende le decisioni, e cosa significa “un lavoro ben fatto”, anche un team eterogeneo lavora come una squadra.

Dare feedback costruttivi ai junior li aiuterà a crescere senza sentirsi giudicati, mentre riconoscere il contributo dei più anziani farà in modo che non si sentano “dati per scontati”.

E tu, come stai gestendo il tuo team?
Hai mai notato tensioni legate alla differenza di esperienza?

Se vuoi approfondire e trovare strategie su misura per la tua realtà, contattami. Possiamo lavorare insieme per trasformare la diversità del tuo team in un punto di forza.

Prenota una sessione di coaching e porta il tuo team al livello successivo!

Il tuo CV spaventa? Al colloquio senza nascondere il tuo valore

CV troppo qualificato

Che tu sia un impiegato amministrativo con anni di esperienza, un venditore che ha sempre superato i target o un manager che ha gestito team e budget importanti… potresti subire il paradosso dell’overqualifica.

Ovvero? Hai un CV che spaventa (magari con un bel titolo in cima), ricco di competenze, esperienza in contesti multinazionali, ruoli di responsabilità (ex CEO e Direttore Generale).

Sei convinto – giustamente – che dovrebbe aprirti più porte. In pratica, succede spesso l’opposto.

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I colloqui arrivano con il contagocce. Quando arrivano, qualcosa si inceppa.

Ti fanno mille domande, ti guardano con interesse, annuiscono, fanno i complimenti poi ti dicono:

  • “Siamo rimasti colpiti dal suo profilo, ma forse è troppo qualificato per questo ruolo.”

Oppure

  • “La sua candidatura è di grande valore, ma in questo momento cerchiamo un profilo più allineato al ruolo”.

Troppo qualificato? Esperto? Troppo ..?

Ti è mai capitato?

E così, paradossalmente, più valore porti… più diventi scomodo per chi ti dovrebbe scegliere.

  • Perché un profilo “troppo qualificato” fa paura?
  • Cosa pensano davvero i selezionatori quando leggono un CV “pesante”?
  • Cosa puoi fare per non essere visto come una minaccia, ma come la scelta giusta?

Ecco cosa può pensare (anche inconsciamente) un selezionatore quando guarda il tuo CV troppo qualificato:

“Questo ci mangia!”
“Vuole prendere il mio posto”

 


 

Se mostri più esperienza/competenza del futuro capo/selezionatore potresti mettere in ombra il manager, essere percepito come una minaccia.

“Non durerà!”
“È solo un ripiego”.

Temono che ti annoierai presto, che non accetterai le regole o che stai solo “tamponando” in attesa di qualcosa di meglio.

“Non accetterà il nostro modo di lavorare”
“Non accetterà ordini”

Un eccesso di seniority fa pensare a qualcuno che vuole “imporre” il proprio metodo. Anche senza volerlo, si sentirà sprecato.

“Pretenderà uno stipendio alto”
“Chiederà più di quanto possiamo dargli”

Si traduce in: “Avrà aspettative: salariali, autonomia, status che noi non possiamo sostenere”.
“Non possiamo permettercelo. Non si adatterà alla nostra realtà.”

Come rispondere a queste paure (senza nascondere il tuo valore e il tuo CV troppo qualificato)?

Anticipa il timore: non aspettare che lo dicano

Frasi come:

  • “So che il mio background è ampio, ma proprio per questo sono molto chiaro su cosa cerco e perché questo ruolo mi interessa davvero.”
  • “Ho avuto ruoli ampi, è vero, ma questo è esattamente il tipo di posizione in cui voglio portare valore con semplicità e visione operativa.”
  • “Non cerco status, cerco senso. Questo ruolo è in linea con ciò che oggi voglio fare e con il contributo che so di poter dare.”

Chiarisci le tue motivazioni

Potrebbero pensare che “ti stai accontentando”? Se non è così, dillo chiaramente:

  • “Ho scelto di cambiare passo perché voglio un contesto più stabile / un progetto in cui credere.”
  • “Dopo anni in ruoli ad alta pressione, oggi cerco un contesto più sostenibile dove poter lavorare con qualità, continuità e relazioni autentiche.”


“Hai studiato l’azienda e preparato il CV, ma sei pronto a gestire le domande difficili? Scopri come il coaching ti prepara ad affrontare ogni sfida del colloquio.”

Mostra autorevolezza, non autorità

Il tono è tutto. Se dimostri di non aver bisogno di comandare, abbatti molte resistenze implicite.

Mostra curiosità, non superiorità.

Fai domande, ascolta. Non servono proclami, ma segnali di apertura:

  • “Mi interessa entrare in un contesto dove posso imparare e portare valore, anche in ruoli più operativi.”

Inserisci nel CV o lettera di presentazioni frasi più accessibili

  • “Manager esperto, oggi focalizzato su progetti più collaborativi e ad alto impatto per realtà in evoluzione. Mi muovo bene tra numeri e persone, con una leadership discreta e adattabile.
  • “Sono un Project Leader orientato ai risultati, pronto a supportare la crescita delle PMI”
  • “Oggi cerco un contesto dove portare la mia esperienza operativa a servizio di un progetto concreto, con un team di persone vere e con cui costruire valore.”
  • “Dopo anni in ruoli manageriali, oggi cerco un contesto dove mettere a frutto l’esperienza con flessibilità e spirito collaborativo.”
  • “Il mio obiettivo è contribuire con metodo e visione, anche in ruoli meno strutturati ma ad alto impatto.”


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Ruoli accorciati e “smussati”

Meno tono “executive”, meno autocelebrazione, meno “ingessamento” o ricerca di un ruolo da capo.

  • CEO vs. Direzione Generale e Supervisione Operativa
  • Chief Operating Officer vs. Coordinamento funzioni strategiche
  • Supervisore area amministrativa vs. Ruolo amministrativo evoluto a supporto direzionale
  • Area Sales Director vs. Attività commerciale sul territorio con focus consulenziale
  • Esperto senior contabilità & bilancio vs. Referente contabile con visione d’insieme

CV troppo qualificato? Rimuovi esperienze remote.

Taglia esperienze datate o non rilevanti che andrebbero ad appesantire il tuo CV troppo qualificato.

Non devi sminuire il tuo profilo, ma aiutare l’altro a fidarsi

Chi seleziona non vuole solo competenze: vuole sicurezza, adattabilità. Trasparenza.

Ti sei riconosciuto? Hai la sensazione che il tuo valore non venga capito — o peggio, venga visto come un problema?

Posso aiutarti a riposizionare il tuo profilo con intelligenza e strategia.
Richiedi una sessione conoscitiva gratuita: lavoreremo insieme per trasformare la tua forza in una chiave d’accesso, non in un ostacolo.

 


 

Vuoi che trasformi il tuo CV in chiave strategica?

Posso aiutarti a:

  • Tradurre autorevolezza in accessibilità
  • Posizionarti in modo intelligente senza svenderti
  • Preparare anche la narrativa per il colloquio (pitch orale).

Scrivimi per una valutazione CV e strategia del colloquio di lavoro.

Momento di cambiare lavoro o solo un periodo difficile?

momento di cambiare lavoroFoto di Pavel Danilyuk

Ci sono momenti in cui andare al lavoro diventa pesante più del solito. Ti svegli e sei già stanco, la motivazione è bassa, ogni riunione sembra inutile.

Inserisci il pilota automatico.
Tutto pesa. Le giornate scorrono senza stimoli, i progetti non ti entusiasmano.

Ti ritrovi a pensare (sempre più spesso): “Ha ancora senso restare?”
È una voce di fondo che cresce, cresce. Ogni giorno di più.

  • “È una fase passeggera?”
  • “È solo stanchezza o è arrivato il momento di voltare pagina?”

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Cambiare lavoro è una decisione importante, anche restare lo è.

Quando sei stanco o frustrato, rischi di reagire di impulso o (all’opposto) restare bloccato, aspettando che qualcosa cambi da sé.

Come distinguere una crisi passeggera dal segnale che è momento di cambiare lavoro?

Cambiare azienda può essere un atto di coraggio e di libertà.
Ma può diventare anche una fuga mascherata, se non affronti prima te stesso.

Fermati e ascolta

Preso dal turbinio del lavoro, è facile non accorgerti che qualcosa dentro di te si sta spostando.

Forse non ti riconosci più in quello che fai.
O forse è solo un momento intenso e stressante, che ti sta mettendo alla prova.

La domanda non è solo “Mi piace ancora questo lavoro?”

Ce ne sono altre. Non per ottenere una risposta immediata, ma per iniziare un dialogo onesto con te stesso:

 


 

• È una stanchezza diffusa o legata a qualcosa di specifico?

Tutti attraversiamo periodi difficili.

Se la fatica diventasse la norma, potrebbe esserci qualcosa di più profondo da esplorare.

• Stai ancora imparando/crescendo in questo ruolo?

La crescita non è solo formazione o promozioni.

È sentirsi stimolati, messi alla prova, curiosi. Se da mesi ti senti in una routine stagnante, è legittimo chiederti se c’è ancora spazio per evolvere.

• Hai ancora un “perché”?

Se hai perso il senso di ciò che contribuisci a creare, la motivazione crolla. Sapere il perché fa la differenza.

Magari hai scelto quel ruolo per contribuire a un progetto innovativo o per crescere come leader.

Chiederti: “Che impatto ho ancora?” o “Cosa sto costruendo davvero, anche nel piccolo?” può aiutarti a ritrovare motivazione. Senso.

• Le difficoltà dipendono dal contesto o dal tuo bisogno di cambiare?

Può essere il capo, l’ambiente, la cultura aziendale.

Anche tu potresti essere cambiato: nuove priorità, nuovi bisogni. Non sempre è colpa dell’esterno. A volte sei semplicemnete pronto per altro.

• Cosa succederebbe se tutto restasse com’è per i prossimi 4-10 mesi?

Proiettarti nel futuro può darti segnali preziosi.

Se l’idea ti spegne, ti demotiva o ti fa sentire intrappolato, è il momento di ascoltare quel disagio.


“Cambiare lavoro può spaventare, ma restare bloccati in una situazione che non ti soddisfa è ancora peggio. Scopri i miei servizi, prenota un confronto e costruisci un piano d’azione concreto per il tuo futuro.”

• Hai già provato a cambiare qualcosa, dove lavori adesso?

A volte un confronto (con il capo, la Direzione), un progetto diverso possono ridare ossigeno al tuo ruolo attuale.

Non sempre devi cambiare tutto: magari serve solo negoziare meglio quello che hai.

Potresti proporti per un piccolo progetto in autonomia, per uscire dalla routine e rimetterti in gioco. Oppure chiedere al tuo responsabile/capo di rinegoziare priorità, orari o aspettative. Anche solo ridefinire un confine può restituirti energia.

Prima di pensare di cambiare lavoro, chiediti: “Ho davvero esplorato tutte le possibilità, in questa azienda?”

NOTA: Finché non avrai risposto a queste domande, ogni nuova opportunità rischia di diventare solo una ripetizione, in un altro contesto.

 


 

La risposta può non essere immediata

Forse non è il momento di cambiare, ma di prepararti al cambiamento.

Oppure di cambiare cosa puoi trasformare, prima di decidere se lasciare.

In ogni caso, la chiarezza arriva più facilmente se ti concedi uno spazio di ascolto e confronto fuori dal rumore quotidiano. Vuoi esplorare questo momento di transizione con lucidità?

Momento di cambiare lavoro? Prenota una sessione conoscitiva gratuita

Parleremo insieme di dove ti trovi ora, cosa senti muoversi dentro di te e quali opzioni reali puoi valutare — senza pressioni, senza forzature.

Solo uno spazio per capire meglio se restare, cambiare o trasformare.

Gestire un capo difficile che non ti dà spazio con il tuo team

capo difficile

Hai appena finito di spiegare una nuova procedura al tuo team,
stai cercando (anche con fatica) di trasmettere sicurezza, rispondere alle domande e motivare tutti a dare il meglio.

Ma prima che tu possa concludere, il tuo capo entra nella stanza (o si collega alla call), prende la parola e … annulla tutto ciò che hai appena detto! Generando confusione nel team. Le persone si chiedono: “Ma chi dobbiamo ascoltare?”

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Magari cambia le tue decisioni all’ultimo minuto, senza consultarti.

O peggio, comunica direttamente con il tuo team scavalcandoti, come se tu non fossi lì.
Senza coinvolgerti o informarti prima.

Ti è mai capitato?

Il rischio è che, col tempo, i tuoi collaboratori inizino a bypassarti e a rivolgersi direttamente al tuo superiore per le decisioni importanti.

E qui che perdi definitivamente autorevolezza.

Capo difficile: come hai reagito fino a adesso?

Hai lasciato correre, pensando che non fosse il momento di esporti.
Hai provato a parlarne una volta, ma in modo vago, e non è cambiato nulla.

Oppure hai cominciato a fare solo l’essenziale, sentendoti demotivato (è il primo passo di una lunga agonia professionale…).

Hai chiesto feedback a un amico fidato o al coach per capire come comportarti o se stai esagerando la situazione.

Se sei un leader, sai quanto tutto questo possa essere frustrante. E stressante.

Da un lato, devi mantenere la fiducia e la motivazione del tuo team. Dall’altro, non vuoi entrare in conflitto con il tuo superiore. Ti senti bloccato.

 


 

Come puoi gestire questa situazione senza perdere autorevolezza?

Fermati un attimo e chiediti:

  • In quali situazioni il mio capo mi ha messo in ombra?
  • Come ho reagito finora? Ho cercato di riprendere il mio spazio o mi sono fatto da parte?

Se ti trovi in questa dinamica, è normale sentirti messo da parte.
Ma c’è una domanda importante che devi farti: stai davvero cercando di affermare la tua leadership o inconsciamente l’hai già ceduta?

Prova a osservarti dall’esterno. Quando il tuo capo interviene, come reagisci? Ti irrigidisci? Eviti il confronto? Ti limiti a eseguire?

Stai prendendo posizione? Stai creando uno spazio, anche piccolo, in cui il tuo team possa crescere, essere ascoltato, contribuire?

Stai davvero esercitando la tua leadership?

Ti chiedo di riflettere.

Quando il nostro capo ci sovrasta, tendiamo a ritirarci in secondo piano, senza nemmeno accorgercene. Magari lasciamo che sia sempre lui a parlare per primo. Oppure evitiamo di prendere decisioni in autonomia per paura di essere contraddetti.

La tua autorevolezza non si costruisce solo con le parole, ma anche con la tua presenza, il tuo atteggiamento e la sicurezza con cui prendi le redini delle situazioni.

Essere leader, in questi contesti, significa anche avere il coraggio di non rimanere invisibili tra due fuochi, ma costruire la tua autorevolezza un passo alla volta.

Se vuoi un supporto personalizzato per affrontare questa sfida e consolidare la tua autorevolezza, contattami. Possiamo lavorare insieme su strategie pratiche.

 


 

Poni confini chiari

Se il tuo capo tende a invadere il tuo spazio probabilmente sente di poterlo fare.
Tuttavia, non significa dover subire in silenzio finché la tensione esplode (perché prima poi deflagrerà).

Prova a stabilire dei confini netti, senza creare conflitto.

Ad esempio, prima di una riunione, puoi proporre un breve allineamento con lui/lei:

  • “In questo meeting vorrei gestire io la comunicazione con il team per dare un senso di continuità. Se hai punti da aggiungere, preferisci farlo alla fine o vuoi che lasci spazio per un tuo intervento?”

Se interviene, puoi riprendere il controllo con:

  • “Grazie per l’intervento. Per allinearci meglio, possiamo riprendere il punto che stavamo discutendo con il team e poi confrontarci su eventuali aggiustamenti?”

Noti la differenza?
Non stai sfidando il tuo capo, stai reclamando il tuo ruolo in modo sottile e intelligente.


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Crea alleanza con il tuo capo difficile, non competizione

Forse pensi che il tuo capo voglia solo imporsi.
Prova a guardarlo da un’altra prospettiva.

Spesso i superiori intervengono per bisogno di controllo, vogliono sentirsi sicuri che tutto sia fatto bene. Se ti vede come un alleato invece che come un esecutore, sarà più propenso a lasciarti spazio.

Prova a coinvolgerlo in anticipo, senza aspettare che sia lui a prendere il comando.
Chiedi il suo punto di vista. Coinvolgilo. Riconosci il suo contributo, mostra anche che puoi essere un punto di forza per lui/lei, non una minaccia:

  • “Ho pensato di gestire così il progetto. Ti sembra un buon approccio?”

Quando il tuo capo sente che lo tieni informato e valorizzi il suo punto di vista, avrà meno bisogno di intervenire all’improvviso.

Prova a costruire un’alleanza strategica. La leadership non si conquista “contro” qualcuno, spesso si costruisce insieme, anche quando sembra difficile.

Rafforza il rapporto con il tuo team

Sii il primo punto di riferimento: invece di aspettare che il tuo capo parli, comunica le informazioni e chiarisci la direzione.

Crea un dialogo aperto: se noti che il team è confuso, chiedi apertamente il loro feedback: “Ci sono dubbi o incoerenze nelle informazioni che state ricevendo?”

Rendi visibile il tuo contributo: riprendi il tuo spazio, in modo discreto ma chiaro (es. aggiornamenti regolari, documentare progressi).

Se non cambia nulla, scegli consapevolmente: restare o andarsene?

A volte puoi metterci tutta la leadership, la diplomazia e la strategia che vuoi… e il capo continua a controllare tutto, sminuire, invadere il tuo spazio.

Si comporta da stronzo. In definitiva, lo è.

In questi casi, è importante non restare intrappolato nel tentativo di aggiustare la “stronzaggine”.

Puoi scegliere di restare: “ma a quale prezzo?” e “per quanto ancora?”

Restare ha senso se è una scelta consapevole, un tempo utile per consolidare il tuo ruolo di leadership, costruire autorevolezza anche in contesti complessi.

Oppure puoi iniziare a esplorare nuove opzioni, non come fuga, ma come atto di rispetto verso te stesso, la tua energia, e il modo in cui vuoi lavorare.

Cambiare gli altri è (quasi) impossibile. Ma puoi sempre scegliere chi vuoi essere tu di fronte a certe dinamiche — e quale contesto ti meriti davvero.

Se stai vivendo una situazione simile e senti il bisogno di fare chiarezza, confrontarti, trovare leve concrete per non perderti in mezzo, prenota una sessione conoscitiva gratuita.

Uno spazio riservato, per rimettere a fuoco la tua posizione e il tuo potenziale.

Ti hanno offerto un nuovo ruolo ma non hai competenze? Come dire sì, senza paura

nuovo ruolo

Ti è mai capitato di leggere ricevere un’e-mail o una telefonata e, all’improvviso, sentire il mondo bloccarsi?

Un’opportunità importante. Un ruolo che aspettavi — o forse nemmeno immaginavi.
Un salto di livello. Un’opportunità inaspettata.

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Ma appena leggi la descrizione o ascolti i dettagli, ecco la vocina interiore che si insinua:
“Non ho abbastanza competenza/esperienza per farcela.”
E allora ti blocchi.

Ti domandi se accettare significhi esporsi troppo, se dire sì ti porterà a fallire,
se non sarebbe più saggio aspettare di “essere pronto”.

Ma quando sarai davvero pronto?

Questa domanda è il vero cuore del dilemma. Spesso, la risposta è: non lo sarai mai del tutto.

Le sfide più trasformative della tua carriera ti sorprendono, prima di sentirti pienamente competente. Ma è proprio accettandole che cresci.

Non aspettare di sentirti “completamente preparato”. I ruoli che ci cambiano la vita richiedono coraggio prima della competenza.

Ecco la verità scomoda ma potente:
non devi avere già tutte le risposte per dire sì. Devi essere disposto a imparare.

Come dire sì senza paura (o almeno, senza restarne paralizzati):

 


 

Chiediti: “Quali sono le vere competenze richieste?”

Spesso, dietro la paura si nasconde una visione sfocata.

Nel mio lavoro di coach nel reinserimento professionale, ho visto spesso professionisti preoccuparsi (o peggio -non candidarsi) di dover possedere una lista interminabile di competenze, solo per scoprire che molte di esse erano solo richieste “ideali”. Non così fondamentali nelle mansioni quotidiane.

Prenditi il tempo per distinguere tra ciò che è davvero essenziale sin da subito e ciò che può essere appreso con il tempo.

Questo ti dà una grande libertà: puoi concentrarti su ciò che conta davvero e costruire il resto lungo il cammino.

Non tutto va padroneggiato il primo giorno. A volte bastano alcune abilità forti e la volontà di imparare il resto.


Ti hanno fatto una proposta di lavoro e sei indeciso se accettare? Confrontati con me. Un confronto per ascoltare le tue domande e aiutarti a trovare le tue risposte.

Costruisci micro-progressi quotidiani

Invece di pensare in grandi blocchi temporali, scegli una competenza chiave e focalizzati su una competenza alla volta. Ogni giorno chiediti:

  • “Qual è una piccola azione che posso fare oggi per avvicinarmi a padroneggiarla?”

Un video da guardare, una domanda da fare a un collega esperto, un esercizio da provare.

La crescita professionale non è fatta solo di momenti eclatanti, ma (soprattutto) di piccoli passi costanti che, nel tempo, costruiscono sicurezza e autorevolezza.

Cambia il tuo dialogo interno da “non sono pronto” a “sto diventando il professionista che questo ruolo richiede”.

Il primo passo è smettere di definirsi in base a ciò che ci manca.

 


 

Cerca alleati, non fare l’eroe solitario

Non serve fare tutto da solo.

Trova mentori, colleghi esperti, o anche un coach che ti supporti. Le persone che crescono rapidamente non sono sempre le più brillanti: spesso sono le più disposte a farsi aiutare.

Allena la resilienza, non solo le competenze.

Quando ti cimenti in un ruolo sfidante, non ti servirà solo sapere “cosa fare”, ma anche trovare la forza per affrontare il disagio dell’inesperienza.

Impara a stare nelle zone grigie, a tollerare l’incertezza, a gestire il giudizio. Ad esempio, accettare di partecipare a una riunione senza avere ancora tutte le risposte, sapendo che potresti non capire subito ogni dinamica o aspettativa.

Queste abilità valgono quanto (secondo me anche di più) di qualsiasi hard skill.

Chiediti con onestà:

  • Se non avessi paura, accetterei questo incarico?
  • Qual è la versione di me che potrebbe avere successo in questo ruolo?
  • Cosa mi serve per imparare?
  • Ho già affrontato qualcosa che all’inizio sembrava impossibile? Come ho fatto a superarlo?

In conclusione

Ogni passo avanti nella vita professionale comporta un salto nel vuoto.

L’incertezza che senti (grande o piccola) non è solo un vuoto da temere ma uno spazio per crescere, imparare, scoprire nuove parti di te stesso.

Accettare un incarico per cui non ti senti (ancora) pronto non è incoscienza. È fiducia nel fatto colmerai la distanza tra ciò che sei oggi e ciò che stai diventando.

Allora, forse, la domanda da porsi non è “Sono all’altezza di questo ruolo?” ma piuttosto “Sono disposto a diventarlo?

Se la risposta è sì, allora accetta. Con rispetto per la sfida. Con umiltà nell’apprendere.
E con il coraggio di dire sì, prima ancora di sentirti pronto.

Vuoi affrontare una nuova sfida professionale con maggiore consapevolezza?

Prenota una sessione conoscitiva gratuita: esploreremo insieme il tuo punto di partenza, i tuoi obiettivi e come costruire (in modo concreto e realistico) le competenze che ti servono per avere successo nel tuo prossimo ruolo.

Feedback difficile: come dire a un collaboratore che deve migliorare senza attaccarlo

feedback difficile Foto di ThisIsEngineering

Dare un feedback negativo è una delle sfide più grandi per un team leader.

Come dire a un collaboratore che deve migliorare? Senza demotivarlo o farlo sentire attaccato?
Ti è mai capitato di rimandare (o peggio, evitare) questa conversazione per paura di una reazione negativa?

Oppure, ti sei ritrovato davanti a giustificazioni, difese. Silenzi imbarazzati. E temi di minare la sua autostima.

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E non per ultimo … ti sei sentito frustrato perché, nonostante i tuoi suggerimenti, il comportamento della persona non è cambiato.

Ma perché dare un feedback è così difficile?

La verità è che nessuno ama sentirsi criticato.
Tuttavia, il problema non è il feedback in sé, bensì come viene comunicato.

Se viene percepito come un attacco, la persona si chiuderà in difesa e il tuo messaggio verrà respinto.

Quindi, come puoi far capire a un collaboratore che deve migliorare senza creare tensioni?

1. Parti con l’intenzione giusta

Quando dai un feedback, sei guidato dal desiderio di aiutare la persona a crescere?
O invece, in fondo, stai cercando di sfogare la tua frustrazione?
C’è reale attenzione per il suo sviluppo oppure è solo un giudizio?

La differenza si percepisce. Si “sente”.

Se il tuo obiettivo è veramente il miglioramento, allora devi metterti nei panni del tuo interlocutore.

  • Come ti sentiresti se fossi tu a ricevere quel commento?
  • Ti aiuterebbe a migliorare o ti farebbe solo sentire inadeguato?
  • Ti spingerebbe a migliorare o ti farebbe chiudere a riccio?
  • Stai parlando del comportamento o stai giudicando la persona?

Inizia con questa consapevolezza e tutto il resto diventerà più naturale.

 


 

2. Un feedback efficace parte dalla connessione, non dalla correzione

Usa un tono calmo e rispettoso, anche se il tema è delicato.

Descrivi fatti osservabili, non interpretazioni (“Ho notato che nelle ultime riunioni non hai parlato” vs “Sei sempre indifferente”).

Mostra che il tuo intento è dare supporto: “Credo davvero che tu possa dare un contributo più forte, e mi piacerebbe capire come aiutarti a farlo.

Ascolta. Davvero. A volte c’è un motivo dietro a una performance sottotono, e capirlo è metà del lavoro.

Il miglior feedback non è quello che “mette in riga” (anche se talvolta potrebbe essere efficace), ma quello che accende consapevolezza.

3. Sostituisci la critica con un dialogo

Immagina di dire a un collaboratore con tono giudicante:

  • “Sei troppo lento nel completare i progetti, devi sbrigarti.”
  • “Non sei abbastanza preciso, fai sempre errori nei report.”

Con molta probabilità si sentirà giudicato.

Ora prova così:

  • “Ho notato che ultimamente i progetti stanno richiedendo più tempo del solito. C’è qualcosa che sta rallentando il processo? Possiamo trovare una soluzione insieme?”
  • “Ho notato che negli ultimi report ci sono stati alcuni errori. C’è qualcosa che possiamo fare per aiutarti a gestire meglio la revisione? Mi piacerebbe capire come supportarti.”

Vedi la differenza?
La seconda frase apre il dialogo, invece di chiuderlo.
Non punti il dito. Stai invitando la persona a riflettere, senza farla sentire sotto accusa.

 


 

4. Fai domande per stimolare l’autoconsapevolezza

Piuttosto che dire direttamente cosa non va, prova a fare domande che aiutino il tuo collaboratore a rendersi conto da solo di ciò che può migliorare.

  • “Come ti senti rispetto al lavoro che stai facendo?”
  • “C’è qualcosa che potresti fare in modo diverso per ottenere un risultato migliore?”
  • “Cosa ti impedisce di dare il massimo?”

Quando una persona arriva da sola alla consapevolezza del problema, sarà molto più propensa ad accettare il cambiamento.


La comunicazione è il cuore dell’autorevolezza. Vuoi migliorare il tuo impatto con i tuoi collaboratori?

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“Prima volta Leader” è il libro pratico perfetto se muovi i primi passi nella gestione di un team.

5. Il vero segreto per un feedback difficile? Dialoga, non fare un monologo

Dopo aver espresso il tuo punto di vista, chiedi:

  • “Come la vedi?”
  • “Hai qualche idea su come potremmo affrontare questa situazione?”
  • “Cosa ti potrebbe aiutare a migliorare in quest’area?”

Mostrare apertura e disponibilità evita che la persona si senta giudicata.

In questo modo, la spingi ad assumersi la responsabilità del proprio miglioramento.

E ora …

  • Pensa all’ultimo feedback che hai dato a un collaboratore. Sei sicuro che sia stato recepito nel modo giusto?
  • Hai mai pensato che un tuo commento, per quanto ben intenzionato, possa aver demotivato qualcuno invece di aiutarlo?

La leadership non è solo dire alle persone cosa devono fare, ma saperle guidare con empatia e intelligenza. Un feedback ben dato può fare la differenza tra un team che cresce e uno che si chiude in sé stesso.

Se vuoi approfondire e migliorare il tuo approccio alla comunicazione con il tuo team, prenota una sessione di coaching con me.

Insieme, lavoreremo su strategie pratiche per dare feedback efficaci, motivare i tuoi collaboratori. Costruire la tua leadership più solida e autorevole.

Vuoi un ruolo di leader nella tua azienda ma nessuno te lo propone? – parte 2

ruolo da leader

LEGGI ANCHE LA PARTE 1

Hai mai espresso apertamente il tuo desiderio?

  • “Se parlo apertamente della mia aspirazione, sembrerò arrogante.”

Ma il vero rischio è che nessuno capisca davvero cosa vuoi. E nessuno ti aiuta.

Se vuoi un ruolo da leader, prova con un tono aperto e costruttivo con il tuo capo diretto/titolare come:

  • “Sto riflettendo sul mio percorso e sento che il prossimo passo per me è assumere un ruolo di leadership. Mi piacerebbe confrontarmi su come prepararmi e contribuire in quella direzione.”

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Non è presunzione. È orientamento.
E spesso è proprio da lì che inizia il cambiamento.

  • “Sono entusiasta di questo ruolo. Nel medio termine il mio obiettivo è crescere verso una posizione di coordinamento. Mi piacerebbe capire se c’è possibilità per questo sviluppo”.

Ruolo da leader: l’hai mai detto esplicitamente?

Un’affermazione onesta e concreta può fare molto più che mesi di buone intenzioni:

  • “Mi sento pronto per assumere un ruolo di coordinamento. Vorrei parlarne apertamente.”

Stai aspettando che il ruolo ti venga offerto… o lo stai proponendo?

Hai qualcuno che ti sostiene?

Spesso la carriera non si costruisce da sola.

Serve qualcuno che ti aiuti a vedere i tuoi punti ciechi, a preparare i passaggi chiave, a rafforzare la tua comunicazione. La tua leadership.

Hai un coach? Un collega fidato e con più esperienza? Se no, forse è il momento di cercare quel tipo di supporto. Anche i grandi leader hanno bisogno di “aiuto”.

 


 

Chiediti, davvero, cosa stai aspettando?

Molti professionisti arrivano al coaching portandosi dietro frustrazione, delusione, anche risentimento. Ce l’hanno con il capo, con l’azienda, colpevoli di “non averli valorizzati”.

Ma spesso non sapevano (con precisione) cosa desideravano davvero. Pretendiamo che gli altri ci riconoscano, ma non li mettiamo nelle condizioni di farlo.

Ci aspettiamo che intuizioni e buone intenzioni bastino. Ma il Mondo del lavoro non funziona per telepatia.

No, così proprio non funziona.


Per emergere in modo credibile e strategico, scopri le migliori tecniche di leadership, comunicazione e carisma con il mio libro “Autorevolezza” – ora nella NUOVA edizione aggiornata 2025 – . Acquista ora.

Il tuo capo non legge nella tua mente

I tuoi colleghi non vedono automaticamente le tue intenzioni più profonde.
La tua professionalità non è sufficiente, se non è anche visibile, leggibile. Dichiarata.

  • E tu cosa aspetti?
  • Che ti vedano? Che ti riconoscano? Che qualcuno ti dica “è il tuo momento”?
  • E se invece fossi tu a creare quel momento?

Nessuno ti regalerà niente. Un ruolo di leadership, figurati!

Ma puoi costruirla. Un’azione alla volta. Una conversazione alla volta.

I tuoi desideri sono una tua responsabilità

Se vuoi davvero un ruolo da leader, devi essere disposto anche a confrontarti con le reazioni che ne derivano.

Qualcuno potrebbe storcere il naso. Qualcun altro potrebbe percepire la tua iniziativa come una minaccia. Potresti accendere focolai di gelosie. Ma è un rischio. Necessario.

Affrontare la realtà è meglio che restare in attesa, delusi e silenziosi.
Aspettando la chiamata …

 


 

Vuoi un ruolo di leadership? Inizia a costruirlo

Non aspettare che ti leggano nel pensiero.

Mostrati. Esprimiti. Agisci.
Non è arroganza. È presenza.

Se non lo chiedi tu, qualcuno lo farà al posto tuo.

Se continui ad aspettare che ti propongano un ruolo, potresti aspettare all’infinito. Contattami oggi stesso e impariamo a costruire la tua candidatura da leader.

Vuoi un ruolo di leader nella tua azienda ma nessuno te lo propone? – parte 1

ruolo di leader

Durante una sessione di coaching, ho chiesto a un responsabile tecnico — molto stimato dal suo team, ma palesemente insoddisfatto della sua crescita professionale — se avesse mai espresso apertamente il desiderio di assumere un ruolo manageriale o se ne avesse mai parlato con i suoi superiori.

“Non proprio. Ma dai, si vede! Gestisco i progetti, risolvo problemi critici, sono il primo a entrare in ufficio e l’ultimo a uscire. Ho formato colleghi più giovani, mi prendo responsabilità che neanche mi spettano. Come fanno a non capirlo?”

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Quando poi ho chiesto se avesse mai colto l’occasione, magari in un confronto formale o durante una riunione, ha ammesso: “Si, durante il colloquio annuale con il mio superiore diretto. Che cosa ho detto? Tutto a posto. Grazie!

Ecco il punto: in un Mondo del lavoro ideale, potremmo dire “Vuoi un ruolo di leader? Chiedilo!”

Semplice. Lineare.
Ma nella realtà non è così. Il tutto si complica. Si arena.

Essere pronti non basta, se nessuno ti vede come un leader. Se vuoi iniziare a farti notare davvero, prenota una sessione di coaching e lavoriamo insieme sulla tua autorevolezza.

Non dare mai per scontato che gli altri conoscano i tuoi bisogni

Il problema? Non è l’ambizione. Neanche la tua capacità.
È l’invisibilità.

Professionisti capaci e affidabili — che però comunicano poco. O non comunicano affatto. Per educazione, per prudenza, per paura.

E nel frattempo, aspettano che qualcuno “capisca”, mentre il ruolo di leader va ad altri.

Hai esperienza, idee, spirito di iniziativa? E allora …

Ti sei fatto carico di responsabilità (anche non richieste), hai guidato progetti importanti,
supportato colleghi.

Ma quando si apre in azienda una posizione di leadership… nessuno ti chiama. Nessuno ti propone. E magari, ancora una volta … ti devi congratulare con qualcun altro essere scelto. Meno esperto, meno coinvolto. Ma più visibile.

E allora vai in crisi. Ti chiedi: cosa mi manca? Cosa non stanno vedendo di me? O peggio: perché non mi considerano?

Prima di mollare o rassegnarti, ti invito a portare il tuo sguardo in un’altra prospettiva.

 


 

È una questione di consapevolezza e comunicazione

Molti professionisti (esperti e capaci) aspettano che qualcuno li “noti”.

Ma il Mondo del lavoro non è un talent show. Potresti non sentire mai “Ecco il tuo momento, sei il prossimo leader.”

Se vuoi un ruolo da leader, devi iniziare a comportarti da leader. E soprattutto, devi negoziare la tua posizione con intenzione, chiarezza. Fiducia.

Ma come si fa?
Alcune domande potrebbero aiutarti a preparare (e affrontare) questo passaggio con efficacia.


La leadership si conquista, ma anche si comunica.

Se vuoi emergere in modo credibile e strategico trovi spunti interessanti nei miei libri “Autorevolezza” , ora nella NUOVA edizione aggiornata2025, perfetto se vuoi rafforzare la tua presenza autorevole.

“Prima volta Leader” è pensato se hai assunto da poco un ruolo di leader.

Sei davvero chiaro sul ruolo di leader che desideri?

Hai davvero chiaro cosa vuoi?

“Voglio crescere” o “Voglio più responsabilità” non è una richiesta. È un’aspirazione vaga. Di cosa parli esattamente?

  • Quale ruolo nello specifico?
  • Vuoi coordinare un team?
  • Gestire un budget? Contribuire alla strategia?
  • In che modo la tua esperienza e i tuoi risultati dimostrano che puoi gestirlo?
  • Quale vantaggio trarrebbe l’azienda da questa scelta?

Per esempio (versione breve che andrebbe spiegata in modo esaustivo):

  • “Mi piacerebbe guidare il team X. Negli ultimi mesi ho contribuito con (porta esempi concreti), ho supportato il gruppo e affrontato sfide complesse. Ora sono pronto a coordinare persone, gestire risorse e contribuire alla strategia (esempi).
    Come leader interno (so cosa serve e come farlo) potrei ridurre i tempi di adattamento, dare continuità e motivare il team con l’esempio.”

Più sei chiaro con te stesso, più potrai esserlo con gli altri.
Chiedi con consapevolezza, non solo con ambizione.

 


 

Ti stai già “muovendo” come se già avessi quel ruolo?

Le aziende non sempre promuovono un “potenziale”, ma anche persone che già dimostrano leadership nei fatti.

Non intendo scimmiottare caricature di leader, né fare la voce grossa o accentrare tutto su di te.

Intendo assumerti responsabilità vere, creare contesto perché gli altri possano dare il meglio, prendere decisioni difficili quando serve, portare risultati insieme al team.

  • Ti assumi responsabilità anche fuori dalle tue mansione?
  • Supporti gli altri? Porti visione e soluzioni?
  • Sei riconosciuto dai colleghi come un punto di riferimento?
  • Aiuti gli altri a esprimere il loro potenziale?

Non aspettare un titolo per iniziare a comportarti da leader.
Inizia prima. Il titolo, spesso, segue.

CONTINUA A LEGGERE LA PARTE 2

Presentazione del mio libro “Prima volta Leader” all’assemblea annuale ASESC

In occasione dell’Assemblea annuale ASESC 2025 (Associazione Svizzera Esperti in Sviluppo di Carriera) avrò il piacere di presentare il mio libro Prima volta Leadercon cui ci confronteremo sul tema “Leadership e nuove generazioni”.

martedì 20 maggio 2025

ore 18.00

Villa Negroni a Lugano-Vezia

Autorevolezza oggi: non potere, ma influenza

Negli ultimi anni, lavorando come coach con leader e team intergenerazionali, ho sentito frasi sempre più ricorrente:

  • “I giovani non ascoltano”,
  • “Non rispettano le procedure”,
  • “Hanno aspettative irrealistiche.”

Ma questi non sono segnali di superficialità. Sono il riflesso di un cambiamento più profondo: un cambio di paradigma nel modo in cui il lavoro viene vissuto e vissuto con significato.

Le generazioni più giovani non accettano più passivamente modelli che sentono lontani. Chiedono flessibilità, ma anche struttura chiara. Autonomia, ma anche riferimenti autentici.

E lo fa in modo diretto, spesso scomodo

La vera sfida, quindi, non è “gestirli”, ma capire cosa ci stanno dicendo.
E avere il coraggio di ascoltarli.

  • Abbandonare i vecchi modelli basati sul controllo e sulla distanza.
  • Saper dire “non ho tutte le risposte, ma sono disposto a cercarle con voi”.
  • Creare spazi di lavoro in cui sentirsi parte di qualcosa, dove benessere, identità e visione convivano.

Chi accetta questa sfida scopre che la Gen Z non è un problema, ma una risorsa potente.
Oggi non si tratta solo di “adattarsi”, ma di evolvere insieme a loro.

Riprendere il lavoro dopo un periodo di inattività: come prepararsi davvero

riprendere il lavoro

Hai appena vissuto un periodo di pausa professionale? Stai per rientrare nel Mondo del lavoro ma non ti senti pronto? Provi tensione e ansia?

Come Alessia che dopo dieci anni in azienda — una carriera brillante nel settore bancario di Lugano — si era ritrovata disoccupata, complice una ristrutturazione improvvisa.

“All’inizio l’ho presa come una pausa.
Mi sono goduta il tempo libero, ho sistemato casa, poi però … il tempo passava senza che io lo stessi davvero usando per costruire qualcosa.”

Dopo un anno circa di stop, Alessia ha ritrovato un nuovo contratto, una nuova azienda, un ruolo simile a quello che ricopriva prima.

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Tutto bene, allora? Uhm!

Poco prima di iniziare il nuovo lavoro, Alessia racconta che è emersa una sensazione difficile da spiegare. “Ho desiderato tanto questo rientro, ma ora che ci sono quasi dentro mi sento spaesata. Come se il tempo si fosse fermato solo per me… ma non per il resto del mondo.”

Alessia ha ritrovato il lavoro. Ma non ancora il senso di sé nel lavoro. Inoltre, sente ansia e pressione. Da qui l’idea di un percorso di coaching.

A volte, una pausa prolungata, come quella vissuta da Alessia —causata da una ristrutturazione, un licenziamento, una scelta personale o una necessità familiare — lascia un segno profondo.

È un momento di passaggio, spesso sottovalutato

Ci si aspetta che tutto torni alla normalità. Ma non sempre succede così. Sembra che tutto si sia evoluto. E le persone parlino una lingua diversa.

Alessia si ritrova inadeguata. Anche quando ha cominciato il nuovo lavoro: “Ho la sensazione di dover dimostrare tutto da capo. Come se fossi in prova ogni giorno. Anche se nessuno mi mette pressione apertamente, io me la sento addosso.”

In questi casi, non è il ruolo a essere sbagliato. È la transizione a non essere stata ancora elaborata.

Una sessione di coaching potrebbe aiutarti a rimettere insieme i pezzi, ridefinire il tuo messaggio e progettare una strategia efficace per riprendere il lavoro.

Riprendere il lavoro: cosa è cambiato rispetto a un anno fa?

Potresti non essere più la persona che eri prima.

Magari hai maturato nuovi valori, diverse priorità o un diverso approccio al lavoro. Questo può generare attrito, quando cerchi di adattarti in un contesto nuovo.

Ma se ti fermi ad ascoltarti, puoi iniziare a portare nel lavoro chi sei oggi — non chi eri, ieri.

 


 

Datti il permesso di essere “in transizione”

È normale sentirsi arrugginiti, scollegati. Fragili. Ma è anche un momento potente per ridefinire la propria presenza professionale.

Stai solo attraversando un ponte tra chi-eri e chi-stai-diventando.
Accettare questo passaggio è fondamentale.

Datti il tempo di reintegrare i ritmi, le relazioni. Sii paziente con te stesso. Ogni rientro è anche un piccolo nuovo-inizio.

Ti stai preparando a ricominciare… ma stai anche maturando una nuova identità professionale.
Non è solo una ripartenza. È un’evoluzione.

Quello che conta è cosa hai compreso (e come racconti) quel periodo di pausa

  • Cosa hai imparato (su di te) durante questo periodo?
  • Come sono cambiati i tuoi desideri e i tuoi valori professionali?
  • Che cosa non vuoi più, nel tuo prossimo lavoro?
  • Che cosa desideri invece coltivare, sviluppare, portare nel tuo nuovo ruolo?

Rientrare nel mondo del lavoro dopo una pausa può essere l’occasione per riscrivere la tua narrazione, con consapevolezza e autenticità. Ma serve preparazione.

Serve intenzione.
E anche gentilezza verso sé stessi.


La comunicazione è il cuore dell’autorevolezza. Vuoi migliorare il tuo impatto?

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“Prima volta Leader” è pensato se hai assunto da poco un ruolo di leader.

Allenati a raccontarti con una “nuova” voce

Non è solo una questione di competenze tecniche. Preparati a rispondere (con assertività) alle domande che potrebbero farti i nuovi colleghi chiave:

  • “Perché hai lasciato il tuo ultimo lavoro?”
  • “Cosa hai fatto nell’ultimo anno?”

Non servono risposte perfette. Servono risposte vere. Preparate.
Non negare l’interruzione: spiegala, contestualizzala, ma soprattutto valorizzala.

Hai fatto corsi? Letto, riflettuto? Hai sostenuto familiari, ti sei riorganizzato, hai imparato a gestire la resilienza? Tutto questo fa parte della tua crescita professionale.

Riparti dalla tua storia (ma riscrivila in chiave evolutiva).

Parlane con un coach o un collega fidato. Ti aiuta a normalizzare ciò che senti. E spesso scopri che non sei solo.

Riprendere il lavoro: non devi solo dimostrare ma contribuire

Spesso, se rientri dopo una pausa avrai l’impulso inconscio di dimostrare quanto vali. E che meriti quel ruolo.

Ma questo ti mette subito in uno stato di ansia e confronto.

Prova invece a spostare il focus: non su quanto vali, ma su cosa puoi portare. Come puoi contribuire oggi? In modo concreto, reale?

 


 

Attenzione alle parole che “usi” con te stesso

Le parole sono potenti.

Le parole che usi per descriverti influenzano la tua realtà. Se ti dici “sono rimasto indietro” o “sono fuori allenamento” … reagirai con timore e ansia.

Se ti dici “mi sto aggiornando”, agirai con curiosità. Il tuo modo di raccontarti, a te stesso e agli altri, è la prima leva per ritrovare sicurezza.

Fai pace con il giudizio degli altri (ma soprattutto il tuo)

Il periodo di inattività porta spesso con sé vergogna, senso di fallimento, frustrazione.

Le carriere non sono più lineari. Le pause fanno parte del percorso. Più accetti lo accetti, più trasmetti sicurezza a chi ti ascolta.

Stai per riprendere il lavoro … continuando a crescere, con nuove consapevolezze.

Stai solo attraversando un passaggio delicato. E lo stai facendo con coraggio.

Buona fortuna per il tuo nuovo lavoro!